giovedì 24 agosto 2017

Finalmente Draghi punta il suo bazooka contro i tedeschi

Impossibile prevedere se Mario Draghi utilizzerà il simposio statunitense di Jackson Hole, che parte oggi, per annunciare le prossime mosse di politica monetaria della Banca centrale europea. Ma il messaggio arrivato ieri dalla tedesca Lindau, durante il Nobel Laureate Meeting è chiaro: il Quantitative easing è stato un formidabile strumento di stabilità e guai a chi si permette di criticarlo.

Un avvertimento preventivo, quello del presidente della Bce, rivolto principalmente alla Germania, dove il governo, in vista della tornata elettorale di fine settembre, si è momentaneamente tirato fuori dal duello, con il ministro delle Finanze, il «falco» Wolfgang Schaeuble, che ha addirittura difeso il lavoro di Draghi. Ma dove le perplessità verso il programma di acquisto dei bond pubblici lanciato dalla Bce nel 2015 restano diffuse e robuste. Solo qualche giorno fa la Corte costituzionale tedesca ha chiesto alla Corte di Giustizia Ue di pronunciarsi sulla legittimità del Qe, sostenendo che vi sono «importanti ragioni» per ritenere che l’acquisto di titoli di Stato violi la proibizione di finanziare direttamente gli stati, superando i limiti del mandato della Bce. E un forte dissenso si annida anche negli stessi corridoi della Banca centrale di Francoforte, dove il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, da sempre alla guida del drappello di governatori contrario al Qe, non vede l’ora che inizi il cosiddetto tapering, la riduzione graduale degli acquisti, fino alla sospensione totale. «Non c’è bisogno di prolungare il programma al di là del dicembre 2017», ha ribadito ieri Weidmann.

Tutt’altra l’idea di Draghi, secondo cui il Qe dovrà durare finché è necessario. Niente scadenze prefissate, ma valutazioni periodiche della congiuntura e decisioni conseguenti. Di qui la difesa di ieri, volta a conquistare un consenso intorno al programma, sia dentro sia fuori la Bce, per guadagnare maggiore spazio di manovra (necessario per un eventuale prolungamento del Qe) se la situazione lo richiedesse. «La ricerca economica», ha spiegato l’ex governatore di Bankitalia, «si è evoluta nel pensiero su come le banche centrali dovrebbero rispondere a una crisi emergente, in particolare quando i loro strumenti standard di politica monetaria, vale a dire i tassi d’interesse a breve termine, raggiungono il margine più basso». In questo caso la soluzione è quella di fare affidamento su «una guidance prospettica, vale a dire promettersi di mantenere bassi i tassi di interesse in futuro». E la ricerca recente, ha proseguito Draghi, «ha evidenziato che la sua efficacia può essere migliorata se combinata con altre politiche monetarie non standard» tra cui, appunto il Quantitative easing». Del resto, ha aggiunto il numero uno dell’Eurotower, «un gran numero di ricerche empiriche ha dimostrato il successo» del Qe «a sostegno dell’economia e dell’inflazione, sia nell’area dell’euro sia negli Stati Uniti». Mentre i focus sui mercati con «attriti finanziari» hanno dimostrato che ritenere il programma inefficace è «una conclusione ingiustificata».

Del futuro Draghi non parla. E forse, secondo alcune fonti citate da Reuters nei giorni scorsi, non lo farà neanche nel suo intervento di venerdì sera (le 13, ora del Wyoming, poche ore dopo il discorso del presidente Fed Janet Yellen) a Jackson Hole. Quello che il numero uno della Bce dirà di fronte alla platea del meeting organizzato come ogni anno dalla Federal Reserve Bank di Kansas City, formata da banchieri centrali, accademici, ministri delle finanze e rappresentanti del mondo finanziario, sarà vagliato parola per parola dai mercati. E fughe in avanti potrebbero essere sconsigliate. La sensazione, per ora, è che Draghi voglia tenersi le strade aperte, almeno fino all’autunno, quando la decisione di una eventuale chiusura dovrà essere presa.
L’unico indizio sul futuro è contenuto in uno sguardo sul passato. «Quando il mondo cambia come ha fatto dieci anni fa», ha detto il banchiere centrale a Lindau, «le politiche, in particolare quelle monetarie, devono essere modificate». E il cambiamento richiede «una valutazione delle nuove realtà onesta e senza pregiudizi, che non sia gravata dalla difesa di paradigmi precedenti che hanno perso il loro potere esplicativo». Se è vero che le azioni intraprese hanno reso «il mondo più resiliente»; ha concluso Draghi, «dobbiamo prepararci a nuove sfide».

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