venerdì 25 agosto 2017

I grandi evasori festeggiano

Gli evasori possono dormire sonni tranquilli. Soprattutto quelli che nascondono al fisco ingenti somme. La lente degli ispettori, infatti, è sempre puntata sui piccoli contribuenti, quelli che dimenticano di versare all’erario qualche spicciolo oppure hanno sbagliato a calcolare le detrazioni. Al di là degli annunci sul fisco «amico», sull’importanza della compliance (adeguamento spontaneo) e sul nuovo corso dell’amministrazione fiscale, la musica continua a non cambiare.

Basta dare un’occhiata ai dati contenuti nella relazione di fine giugno della Corte dei Conti sul Rendiconto generale dello Stato (e ripresi ieri da ItaliaOggi) per avere un’idea. Su un totale complessivo di 746mila controlli, ben 362mila, si legge nel documento, «hanno dato luogo ad un recupero (potenziale) di maggiore imposta non superiore a 1.549 euro». Praticamente un accertamento su due riguarda una presunta evasione al di sotto di quella cifra. L’accanimento sulle piccole somme si è verificato nel 21% dei casi sugli accertamenti sintetici, nel 51,9% nelle adesioni della voluntary disclosure e addirittura nel 68,7% degli accertamenti parziali automatizzati. Si tratta di valori, scrive la Corte, «che mettono in evidenza la modesta proficuità di buona parte dell’azione di controllo posta in essere».
La puntigliosità degli agenti del fisco sulle piccole somme si individua con chiarezza anche analizzando la distribuzione degli accertamenti ordinari per tipologia. A fronte di 2.367 controlli subiti dai grandi contribuenti, le imprese di medie dimensioni hanno ricevuto le attenzioni del fisco 11.120 volte mentre gli ispettori hanno bussato alla porta di piccole aziende e professionisti ben 104.162 volte.

Una persecuzione? Ha pochi dubbi Unimpresa, secondo cui «lo storytelling del fisco amico è una fakenews. L’amministrazione finanziaria si accanisce coi più deboli e stringe patti, con la scusa della cosiddetta compliance, coi grandi gruppi societari, industriali e finanziari». L’indagine effettuata dall’ufficio studi Unimpresa scorporando i dati relativi alle partite Iva parla chiaro. In totale, secondo i calcoli dell’associazione, il comparto delle piccole imprese risulta di gran lunga il più ispezionato, con un numero di verifiche pari all’85% del totale. E anche in questo caso i riflettori sono puntati sulla piccola evasione. Nel dettaglio, il 53% dei controlli (65mila) è stato effettuato sulla fascia di maggiore imposta accertata fino a 15mila euro, il 24% (30mila controlli) fino a 51mila euro, il 12% (15mila) fino a 155mila. Nelle fasce alte i numeri calano sensibilmente. Tra i 5 milioni e i 15 milioni di maggiore imposta accertata, le verifiche sono state solo 241, pari allo 0,2% del totale. Mentre sopra i 15 milioni sono stati effettuati appena 64 controlli, con una quota infinitesimale dello 0,06%.
Raggruppando le fasce si scopre che il 90% dei controlli si è concentrato su una maggiore imposta accertata fino a 154mila euro. Con le piccole aziende prese d’assalto sia nella fascia fino a 15mila euro (58mila verifiche rispetto alle 4mila delle medie aziende e alle 616 dei grandi gruppi) sia in quella fino a 51mila euro (26mila controlli a fronte dei 2.300 sulle medie aziende a ai 326 sui grandi gruppi).

Ma la vera beffa è che alla fine, malgrado l’assedio, l’Agenzia delle entrate ne esce pure con in mano poco più di un pugno di mosche. I dati sugli introiti complessivi evidenziano un incremento rispetto all’anno precedente, passando da 7,5 miliardi nel 2015 a 10,2 miliardi nel 2016 (+36,3%). Ma si tratta solo di un trucco contabile dovuto alla voluntary disclosure, al netto dei 4,1 miliardi derivati dalla sanatoria sul rientro dei capitali all’estero l’incasso è inferiore all’anno precedente. Non solo. Il gruzzolo rischia di assottigliarsi ancora quando si passerà all’incasso vero e proprio. Nella stessa relazione della Corte dei Conti si legge che il volume totale del riscosso a mezzo ruoli tra il 2000 e il 2016 è stato di 100,9 miliardi a fronte di un carico netto di 877,4 miliardi. In altre parole, lo Stato in 16 anni ha incassato solo l’11,5% di quanto chiesto agli evasori. E la situazione non fa che peggiorare. Rispetto ad un tasso di riscossione del 20% per le annualità più vecchie, dal 2009 la percentuale ha manifestato una progressiva caduta, arrivando fino ad un incasso dell’1,78% di quanto dovuto dai contribuenti nel 2016.

A zavorrare la riscossione, oltre alla crisi e alle inefficienze di Equitalia, c’è anche lo zampino dell’Agenzia delle entrate. Ogni anno, infatti, na buona parte degli accertamenti viene definita non attraverso un’attività degli ispettori, ma per l’inerzia del contribuente, che lascia nel cassetto l’avviso del fisco e fa decorrere i termini. Nel 2016 la percentuale delle pratiche sbrigate in questo modo è stata del 34%, in aumento rispetto al 33,8% del 2015. Il rischio, scrive la Corte dei Conti, «è che, come in passato, una parte rilevante di tale attività non produrrà effetti positivi per l’erario e si tradurrà, dopo ulteriori costi gestionali, in quota inesigibile».

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