giovedì 10 agosto 2017

"Aiuta i clandestini". Indagato il prete amico della Boldrini

Si complica la posizione di padre Mussie Zerai, il sacerdote eritreo accolto con tutti gli onori nel 2013 alla Camera dalla presidente Laura Boldrini insieme ad una delegazione di rifugiati. Dopo le indiscrezioni giornalistiche sulle presunte «soffiate» alle Ong sui barconi pieni di migranti da recuperare, don Mussie risulta ora indagato.

L’avviso di garanzia, partito dalla procura di Trapani, ipotizza il reato di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». L’apertura del fascicolo risale al novembre 2016. Al centro delle indagini ci sono le attività che padre Zerai svolge quotidianamente per fornire assistenza ai profughi.
In Italia dal 1992, sacerdote nel 2010 e candidato al Nobel per la pace nel 2015, don Mussie è fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia, definita «il salvagente dei migranti», con la quale offre supporto telefonico agli immigrati in partenza, stimolando l’intervento delle autorità nei luoghi in cui si trovano imbarcazioni in difficoltà. «Io ho sempre agito con trasparenza, comunicando prima al telefono e poi via mail, le richieste di soccorso che mi arrivavano alla guardia costiera italiana maltese e all’Unhcr, come richiesto dalle procedure», si difende il sacerdote, sottolineando di avere ricevuto solo lunedì scorso la comunicazione dell’indagine sul suo conto, «non ho mai fatto parte di chat segrete con le Ong. Il mio scopo e la mia priorità sono sempre stati salvare vite umane».

Secondo quanto scritto dallo stesso Zerai martedì sul suo blog, l’inchiesta è presumibilmente legata alla vicenda della Ong tedesca Jugend Rettet, la cui nave Iuventa la scorsa settimana è stata perquisita e sequestrata su ordine della procura di Trapani per i suoi presunti legami con gli scafisti. Tutte «calunnie» per padre Mussie Zerai, che ammette, attraverso la sua associazione, di avere inviato segnalazioni a diverse Ong, come Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch the Med.
Ma nega con forza di avere mai avuto «contatti diretti» con la nave della Jugend Rettet. Né, tantomeno, di aver mai comunicato con le Ogn prima di aver avvisato le autorità. «Tutte le segnalazioni», assicura, «sono il frutto di richieste di aiuto che mi sono state indirizzate non da battelli in partenza dalla Libia, ovvero al momento di salpare, ma da natanti in difficoltà al largo delle coste africane, al di fuori delle acque territoriali libiche e comunque dopo ore di navigazione precaria».
Il nome del sacerdote, stando alle indiscrezioni emerse qualche giorno fa,   sarebbe spuntato dalle intercettazioni di due addetti della security imbarcati sulla Vos Hestia di Save the children, secondo cui sulle chat degli scafisti arrivavano moltissime segnalazioni, tra cui quelle del prete, con le posizioni esatte dei gommoni.

Don Mussie, che ha recentemente dato allo stampe il volume  autobiografico «Padre Mosè. Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l’ultima speranza», non ci sta. E annuncia che contro le insinuazioni giornalistiche e il tentativo di infangare il suo lavoro con gli immigrati si difenderà nelle sedi legali opportune. Secondo il sacerdote si tratta di «una vera e propria campagna denigratoria». Alimentata anche da governi stranieri, come quello eritreo, che il sacerdote definisce un «regime dittatoriale che persegue il minimo dissenso con la violenza, il carcere e i soprusi».
Parole dure, che dal Palazzo di Giustizia preferiscono ovviamente non commentare. Soprattutto nel giorno del passaggio di consegne. «Il nostro perimetro è la notizia di reato e si lavora con la massima riservatezza possibile», ha sottolineato Alfredo Morvillo durante la cerimonia di insediamento come procuratore capo di Trapani. «Ho vivo apprezzamento», ha poi proseguito il magistrato, schierandosi subito a difesa dei suoi pm, «sulla linea utilizzata nell’indagine sulle Ong, condivido l’impostazione, nonostante l’emotività che la tematica impone».
«L’indagine sull’operato delle Ong nel Mediterraneo ci ha portato a un confronto umano e professionale senza paragoni», si è limitato a sottolineare Ambrogio Cartosio, procuratore aggiunto della Procura siciliana, che ieri ha lasciato Trapani, dove era capo facente funzioni, per insediarsi a Termini Imerese.

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