sabato 13 febbraio 2016

Consumi al palo: il Pil s'inchioda

L’Italia riparte. Anzi no, si ferma. C’è chi ha voluto vedere nelle stime preliminari dell’Istat l’uscita della nostra economia dalla recessione. Circostanza tecnicamente ineccepibile dopo tre anni di pil negativo. Ma la realtà è che il Paese ha di nuovo tirato il freno a mano dopo una piccola pausa in cui la domanda interna aveva tentato di rialzare la testa. La crescita del quarto trimestre si è, infatti, fermata ad un misero 0,1% che da qualunque lato lo si guardi non può essere considerato segnale di dinamismo. Il piccolo decimale è l’ultimo atto di una progressiva e inesorabile discesa. Dallo 0,4% del primo trimestre allo 0,3% del secondo fino allo 0,2% nel terzo. A questo punto, cosa ci autorizza a pensare che nei prossimi mesi l’economia ingranerà di nuovo la marcia per raggiungere addirittura l’1,6% previsto dal governo per il 2016?

Certo, a fine anno la produzione industriale ha battuto qualche colpo, i consumi elettrici sono aumentati e il turismo ha dato segnali di risveglio. Tutto è da vedere. Per ora, il dato di fatto è che la stima preliminare dell’Istat smaschera l’ennesima previsione fasulla del governo, che lo scorso autunno, nella nota di aggiornamento del Def e poi nel Documento programmatico di bilancio aveva alzato la stima del pil dallo 0,7% allo 0,9%. Poi, vedendo le brutte, aveva abbassato l’asticella allo 0,8%. Ma l’Italia ha fatto comunque peggio. Solo grazie a tre giornate lavorative in più la percentuale grezza (utilizzata a Bruxelles) della crescita del 2015 è riuscita a raggiungere lo 0,7%. Ma il dato destagionalizzato è dello 0,6%. Praticamente un punto in meno della media dell’Eurozona (all’1,5%) e molto al di sotto delle economie più dinamiche del vecchio continente. Anche sul quarto trimestre, se si toglie la Grecia, il risultato dell’Italia è il più basso di Eurolandia.
Dire che il Paese esce male dal 2015, dunque, non appare troppo azzardato. Anzi. Il consensus degli economisti prevedeva un +0,3%. Ed ora gli stessi analisti hanno spiegato che l’asticella del 2016 andrà abbassata tra un minimo dell’1 ad un massimo dell’1,4%, che è la stima recentemente diffusa anche dalla Commissione Ue.

«La crescita lievissima dell’ultima parte del 2015 rivela preoccupanti segnali di rallentamento e dimostra che l’economia è ben lontana dal fare il salto in avanti per voltare pagina», ha sottolineato Andrea Goldstein, economista di Nomisma, suggerendo di puntare lo sguardo sulla domanda interna. Secondo i dati dell’istituto di statistica a pesare sulla bassa crescita congiunturale è «la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’industria» (con la produzione che ha segnato un -0,7%, pur mantenendo un +1% sull’anno, primo segno più dal 2011) e «di aumenti in quelli dell’agricoltura e dei servizi". Ma è la domanda interna (non solo consumi, ma anche investimenti e scorte) ad andare giù. Su questo lato, ha spiegato l’Istituto analizzando le componenti del Pil nell’ultimo trimestre dell’anno, vi è un contributo negativo della componente nazionale, più che compensato dall’apporto positivo della componente estera netta».

A questo punto non possono escludersi neanche contraccolpi sul debito, che il governo prevede scendere dal 132,8% del 2015 al 131,4% del 2016. Anche perché è stato ormai ufficializzato lo slittamento della quotazione delle Fs almeno al 2017. Il che significa che dall’obiettivo dichiarato di privatizzazioni per lo 0,5% del pil (7,5 miliardi), da destinare alla riduzione del debito, mancheranno all’appello 4-5 miliardi di euro.
Tutt’altra, inutile dirlo, la versione di Palazzo Chigi. «Deve essere chiaro che l’Italia è cambiata, è ripartita», ha detto il premier, continuano a polemizzare con la Ue, che si lambicca sugli «zero virgola». Più cauto Pier Carlo Padoan. «Certo, avrei preferito vedere un decimale in più piuttosto che in meno», ha detto da Bruxelles, dove si è tenuto l’Ecofin, il ministro dell’Economia, «ma i decimali contano poco, l’importante è la direzione di marcia, che è di crescita, dopo tre anni di profonda recessione».

Al Tesoro comunque si attende il dato finale, che viene diffuso a marzo, nella speranza che una correzione al rialzo sia possibile. In ogni caso, ha proseguito, «la riconsiderazione del quadro macroeconomico sarà fatta in modo sistematico con il Def in aprile, non sono preoccupato». Quanto all’Europa, la cui bocciatura diventa sempre più probabile, Padoan ha spiegato che «non c’è una trattativa. Verificheremo se c'è uno scostamento rispetto al piano di rientro o una divergenza di opinioni, troveremo un aggiustamento».

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