lunedì 8 febbraio 2016

Ministero unico Ue per commissariare le nostre finanze

L’idea di un superministro delle finanze Ue che tenga al guinzaglio tutti i contribuenti del Vecchio continente non è nuova. Una proposta in questo senso comparve nel 2012 nel documento «Verso un’autentica unione economica e monetaria» sottoscritto da Mario Draghi, Herman Van Rompuy, Manuel Barroso e Jean Claude Juncker. Il progetto, sopravvissuto sottotraccia per anni, ha ripreso forza sull’onda della crisi greca, che ha mostrato ancora una volta le difficoltà di Bruxelles nella gestione delle emergenze. Lo scorso giugno sempre Juncker e Draghi, insieme questa volta a Donald Tusk (presidente del Consiglio Ue), Jeroen Dijsselbloem (presidente dell’Eurogruppo) e Martin Schulz (presidente del Parlamento Ue), hanno presentato il documento denominato «Five Presidents Report» in cui viene delineato un percorso che da qui al 2025 dovrebbe portare alla creazione di un ministero del Tesoro comunitario.

Tra i più accesi sostenitori del piano c’è, manco a dirlo, la Germania di Angela Merkel, che pur essendo da sempre contraria a qualsiasi cessione della sovranità (al punto da far passare al vaglio della propria Corte costituzionale tutte le riforme europee), vede nel ministro unico la possibilità di commissariare le finanze dei Paesi «periferici» da parte dei soci forti dell’Eurozona e di controbilanciare il peso di Draghi e della «sua» Bce sul fronte degli aiuti agli Stati più deboli. Secondo quanto riportato dal quotidiano Der Spiegel lo scorso luglio il ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, avrebbe nel cassetto una proposta di riforma dei trattati che prevede l’istituzione di un ministero delle Finanze Ue non solo dotato di un proprio budget, alimentato da una quota dei proventi dell’Iva e delle imposte sui redditi degli Stati membri, ma anche della possibilità di introdurre e riscuotere direttamente dai cittadini tasse europee.

Non si spingono così oltre i due banchieri centrali, che però mettono l’Europa di fronte ad un bivio: o gli Stati accettano «un consistente trasferimento della sovranità e dei poteri a livello europeo» oppure si sceglie un approccio «decentrato» basato sulle singole responsabilità, ma con regole più stringenti. In entrambi i casi, insomma, sembra esserci il tentativo non più di orientare, ma di dettare le politiche economiche dei Paesi membri, attraverso vincoli più rigidi che riducano ulteriormente i già esigui spazi di manovra. Come scrivono Weidmann e Villeroy De Galhau, «un’integrazione più forte faciliterebbe lo sviluppo di strategie comuni per le finanze statali e per le riforme».
L’obiettivo sarebbe quello di «promuovere la crescita» e ristabilire la «fiducia» dell’eurozona, messa in crisi anche dalle tensioni sull’emergenza immigrati. Il progetto, che coinvolgerebbe solo i Paesi con la valuta comune, poggia su tre pilastri. Primo, «programmi di riforme nazionali portati avanti con determinazione»; secondo, «unione di finanziamenti e investimenti»; terzo, «migliore governance economica». Il compito di concepire un nuovo quadro, ammettono i due, «apparterrebbe ai politici». Tuttavia, «si potrebbe iniziare realizzando una amministrazione europea efficace e meno frammentata basata sulla creazione di un Tesoro comune, congiuntamente ad un Consiglio di bilancio indipendente e ad un organo politico più forte, sotto il controllo parlamentare».

Difficile sapere con esattezza cosa si nasconda dietro la sortita dei due banchieri. È chiaro, però, che l’intervento, alla vigila dell’Ecofin di giovedì, rappresenta una decisa fuga in avanti su un progetto finora più presente nelle aule dei convegni che nel dibattito politico. Non è un caso che nel pomeriggio Weidmann abbia tentato di smorzare un po’ i toni, precisando che si tratta di «un processo di lungo periodo». Concetto ribadito anche da una portavoce del ministro delle Finanze tedesco, la quale ha, però, sottolineato che Schaeuble «si è già mostrato in passato aperto a un dibattito per un’integrazione». Non solo. I due banchieri, hanno spiegato da Berlino, «assimilano il parere del governo tedesco, già noto, che ritiene che alle attuali sfide si risponda con più e non con meno Europa». Resta da capire come si muoverà l’Italia, che non sembra avere molto da guadagnare dalla riforma. Tempo fa il ministro Pier Carlo Padoan si era mostrato non ostile. E ieri sulla proposta è arrivato anche il placet dell’ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano («un passo avanti cruciale»), il cui ruolo di raccordo tra interessi nazionali ed europei negli anni della crisi è, quantomeno, oggetto di discussione.

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