sabato 28 maggio 2011

Il Fondo monetario vuole il crac di Atene

L’ultima parola spetterà alla troika di esperti che in questi giorni sta passando al setaccio la contabilità di Atene, ma le nubi che si intravedono all’orizzonte sono nerissime. Il Fondo monetario internazionale «ha bisogno di garanzie finanziarie» prima di poter elargire la prossima tranche di aiuti alla Grecia. A lanciare l’ennesimo macigno su Atene è la portavoce dell’Fmi, Caroline Atkinson, durante una conferenza a Washington La Atkinson ha spiegato che per ogni programma di aiuti il Fondo ha sempre bisogno di garanzie finanziarie. «Noi concediamo finanziamenti dopo aver concordato con il Paese le necessarie misure di risanamento e dopo aver constatato che sono disponibili anche altre fonti di finanziamento. Solo in questo modo possiamo salvaguardare i soldi dei nostri membri», ha detto la portavoce.

Le notizie arrivate da Washington non hanno fatto altro che confermare quanto detto nel pomeriggio dal presidente del’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker. «In base allo statuto dell’Fmi, il Fondo può concedere un finanziamento solo a fronte di garanzie su un periodo non inferiore ai 12 mesi», ha spiegato Juncker durante una conferenza a Lussemburgo. «Bisogna fare le verifiche e se mancano le garanzie, l’Fmi non può finanziare». Il punto, però, non è lo statuto del Fondo, che tutti conoscevano ben prima delle delucidazioni di Juncker e della Atkinson. La questione è chiaramente quella dell’esito della missione congiunta Ue-Fmi in Grecia. Come ha detto fuori dai denti il presidente dell’Eurogruppo, «penso che la troika arriverà alla conclusione che non ci sono le garanzie» per finanziare la Grecia, dal momento che il governo «non riuscirà a centrare gli obiettivi di bilancio che si era prefissato». E identico è il senso delle parole della portavoce.

La chiusura dei rubinetti da parte del Fondo (che complessivamente dovrebbe contribuire con 30 dei 110 miliardi previsti dal piano di salvataggio) mette ora l’Europa davanti ad un bivio catastrofico. Lasciare la Grecia al suo destino, con il rischio di un effetto contagio sui debiti sovrani dei Paesi periferici, oppure accollarsi la parte mancante del prestito, la tranche di giugno in tutto ammonta a 15 miliardi, e spalmarlo sulle finanze già traballanti dei Paesi europei.
Lo scenario si è ripercosso immediatamente sui credit default swap della Grecia, schizzati di 45 punti base a 1.440, ma anche sulla moneta unica. Dopo aver agganciato brevemente quota 1,42 dollari approfittando del rallentamento del biglietto verde frenato dal tasso di crescita Usa del primo trimestre più debole del previsto, l’euro è subito riscivolato fin sotto la soglia di 1,41 dollari

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