lunedì 23 maggio 2011

I sindacati stanno con Tremonti. «Agenzie di rating screditate»

«Le agenzie di rating ci hanno preso per il culo per 10 anni». E giù applausi da far tremare i muri. A spellarsi le mani non sono militanti del Pdl ad un comizio elettorale di Berlusconi o Tremonti, ma i delegati di Cisl e Uil riuniti a Roma per parlare di fisco, di contratti, di costi della politica. Temi importanti. Molto più importanti, secondo Raffaele Bonanni, delle sortite di Standard & Poor’s. «Se non fosse una cosa seria», ha tuonato il segretario della Cisl durante l’assemblea dei quadri, «sarebbe tutta da ridere. Ancora siamo qui ad andare dietro alle agenzie di rating, le stesse che in questi anni ci hanno detto che tutto andava bene senza dirci una parola su quello che stavano facendo le banche». Il consenso suscitato dalle dichiarazioni del leader sindacale è stato diffuso e fragoroso. Una smentita preventiva a chi oggi dirà che il solito Bonanni è corso in aiuto del governo.

Non era davvero giornata di effusioni, ieri, con i sindacati impegnati piuttosto a pungolare il governo perché dia immediata esecuzione, «senza scorciatoie né tentazioni elettorali» ad una riforma del fisco che inverta la marcia rispetto alla «scelta politica disastrosa di far pagare tutto al lavoro dipendente». Eppure, nessuno è salito sul carro della speculazione. Anzi. Tutti hanno puntato il dito contro l’affondo di S&P contro l’Italia. «Non mi pare una nuova notizia», ha spiegato Bonanni, «e il fatto che arrivi da una agenzia di rating screditata non è una buona notizia». L’importante, ha proseguito, «è che il governo e la classe politica cambino rotta sulla crescita perché siamo stufi di commentare notizie artefatte e negative per l’Italia senza che si alzi un dito». «Non sarebbe la prima volta che S&P prende un abbaglio», ha rincarato la dose Luigi Angeletti, «e anche questa volta penso si tratti di un abbaglio». I nostri conti pubblici, ha ragionato il segretario della Uil, «sono in ordine e l’Italia è tra i paesi più virtuosi anche se questo costa caro ai cittadini. Il nostro problema, piuttosto, è fare in modo che l’economia cresca non quello di occuparci delle valutazioni di Standard & Poor’s». Ha pochi dubbi anche il leader dell’Ugl, Giovanni Centrella. «Non è dal giudizio negativo di un’agenzia di rating», ha detto, «che si possono cogliere segnali significativi per il futuro del Paese, se non che è sempre in agguato il pericolo di speculazioni per fare il gioco di interessi che vanno al di là del benessere nazionale».


Non hanno, ovviamente, resistito alla tentazione di cavalcare le minacce di S&P gli uomini della Cgil. «La valutazione negativa sulle prospettive italiane, ha detto il segretario confederale, Vincenzo Scudiere, «è la dimostrazione che se non si aggrediscono le cause reali della crisi andrà sempre peggio, eppure il governo continua a sottovalutare la situazione, pensando ad altro, ma così facendo il paese rischia grosso». Altro che speculazioni e abbagli. La decisione dell’agenzia internazionale «è dettata dal fatto che l’Italia non ha di fronte a sè la possibilità di una crescita adeguata tale da poter dare risposte e soluzioni ai pesanti problemi occupazionali».

La verità invece, secondo Maurizio Sacconi, è che «la valutazione di Standard & Poor’s sull’Italia, peraltro unica tra le agenzie di rating, ripropone il tema istituzionale dell’affidabilità per definizione dei soggetti privati che con le loro stime influenzano i mercati». Per il ministro del Lavoro, infatti, l’analisi «sembra prescindere dagli oggettivi dati macroeconomici e riferirsi a possibili future discontinuità politiche». E il paradosso è che un macigno del genere lanciato in una fase così delicata potrebbe addirittura provocarle tali discontinuità. Sacconi, però, è ottimista. «Fortunatamente», ha proseguito, «i mercati sapranno, come hanno fin qui saputo, apprezzare la sostenibilità del nostro debito in relazione sia alla disciplina di bilancio sia alla ricchezza della Nazione, come rilevano tutte le istituzioni sovranazionali». Di certo non aiuta, ha aggiunto il ministro, «la penosa canizza di esponenti dell’opposizione che immediatamente, privi del benché minimo senso dell’interesse nazionale, sollecitano la sfiducia dei mercati verso l’Italia sperando di avere qualche voto in più».

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