mercoledì 30 settembre 2009

Sborsiamo trenta milioni per film che non vediamo

È un bilancio semplice quello di Viale Mazzini. Sulle grandi cifre non ci sono trucchi né inganni. I ricavi della Rai arrivano per il 50% dalle nostre tasche (il canone di abbonamento), per il 38% dalla pubblicità e per il 12% da altre fonti. Tanto per quantificare, i soldi che sborsano gli italiani ogni anno per garantire il cosiddetto servizio pubblico ammontano a 1,6 miliardi.Per scoprire dove finisce il gruzzolo bisogna però inoltrarsi nelle pieghe dei documenti contabili. E qui la semplicità lascia spazio alla bizzarrìa e alla singolarità. Tra le notizie più sorprendenti c’è quella relativa ai film non visti. Tutti, almeno una volta, ci siamo indignati per un programma mal fatto, per un servizio poco pubblico, per un reality di cattivo gusto. Ma sfido chiunque a lamentarsi per una pellicola che non va in onda o per un documentario mai inserito nella programmazione. La chicca è contenuta nel capitolo di bilancio che si occupa del valore dei diritti d’autore e delle licenze. Qui si scopre che nel costo complessivo dei prodotti televisivi e cinematografici acquistati dalla Rai, c’è una quota destinata ai programmi fantasma. Film che non vedremo mai, fiction che non saranno mai inserite in palinsesto. In gergo si chiama «mancata trasmissibilità, replicabilità e sfruttamento commerciale di alcuni diritti». E non si tratta di bruscolini, ma di 30,6 milioni su un totale di 741.Sfogliando il bilancio si apprende poi che il servizio pubblico alimentato dal canone spende 360,7 milioni per fiction, miniserie e telenovelas e 155,1 per i film, ma solo 11,8 milioni per i documentari e 7,8 per la musica e il teatro. Oppure ci si accorge che 2,2 milioni di euro l’anno se ne vanno per i compensi del consiglio di amministrazione e 200mila euro per i sindaci che dovrebbero sorvegliare il bilancio (compresi i film mai visti). O ancora scopriamo che Carmen Lasorella è amministratore unico della San Marino Rtv Spa, controllata al 50% dalla Rai con un valore di carico di 2,9 milioni di euro. E noi sempliciotti che pensavamo che Lasorella fosse una giornalista e che San Marino fosse uno Stato indipendente.Ma il dato più preoccupante, e serio, è quello relativo ai costi del personale. Va premesso che l’elefantiaca Rai di Stato ha a busta paga oltre 13mila dipendenti. Cifra spropositata se si pensa che tutto il gruppo Mediaset in Italia ne ha poco più di 5mila. E il confronto diventa ancora più ingeneroso se scendiamo fino alla voce ”giornalisti”. A Viale Mazzini ne contiamo 2.006 rispetto ai 378 del Biscione.Il bello è che gran parte dei lavoratori della Rai è stata messa lì dai tribunali. Già, perché dal 2002 al 2007, secondo la Corte dei Conti, su 1.221 assunti a tempo indeterminato, 565 sono reintegri obbligatori decisi dal giudice. Il frutto, scrive la magistratura contabile, «di una non puntale osservaza delle disposizioni di legge o contrattuali che disciplinano le modalità di assunzione e di impiego del personale». Risultato: altri soldi del contribuente gettati dalla finestra. Il contenzioso da lavoro costa infatti all’azienda una decina di milioni l’anno a fronte dei circa 900 complessivi del costo del personale. In altre parole, oltre l’1% degli stipendi viene bruciato perché alla Rai non conoscono lo Statuto dei lavoratori.Il tutto (l’esercito dei dipendenti e gli sprechi) fa sì che alla fine dell’anno i conti non tornino per nulla. Quei 900 milioni di costo del personale si raffrontano infatti ai circa 3miliardi del costo della produzione. In percentuale si tratta di un 30% buono, livello decisamente troppo alto per un’azienda che usa i soldi dei cittadini e che sale al 38% se si considerano anche i costi per i viaggi e le trasferte del personale, gli accantonamenti per gli esodi agevolati, i costi del contenzioso e i fondi pensione dei dipendenti. Una situazione, si legge nella relazione della Corte dei Conti, che impone alla Rai di assumere «tutte le iniziative che si riterranno più idonee per mantenere sotto stretto controllo l’andamento del costo di tale fattore». E noi paghiamo.

libero-news.it