venerdì 4 settembre 2009

Cdp è pronta per i tubi Eni in Europa

L’ultima volta che Alessandro Ortis ha provato ad invocare lo spacchettamento dell’Eni, Claudio Scajola per poco non se l’è mangiato. La separazione tra produzione e distribuzione è una questione antica, su cui il presidente dell’Authority dell’Energia insiste da tempo. Ma quando Ortis lo scorso luglio, nella sua relazione annuale, è tornato a sostenere la necessità di una maggiore apertura del mercato del gas attraverso la cessione di Snam rete gas, il ministro dello Sviluppo gli ha risposto a brutto muso: «Si occupi delle questioni di sua competenza».Ieri sulla vicenda è sceso in campo il Financial Times nella sua autorevole e molto letta Lex column. L’Eni, si legge, ha «una struttura anomala» che unisce la produzione e la distribuzione di gas e petrolio. «Ci sono pochi motivi per essere diversi dall’Europa», aggiunge il quotidiano londinese, «e il recente taglio del dividendo da parte di Eni dimostra che questo modello ha raggiunto i suoi limiti».Sul ragionamento di Ft sono arrivate subito le obiezioni di esperti e analisti. Secondo Ubs «difficilmente Eni otterrebbe un miglioramento dei multipli diventando oggetto di scalata», mentre per il direttore di Nomisma energia, Davide Tabarelli, bisogna tenere conto «di una regola secolare che funziona sempre, che è quella dell’integrazione verticale».Ma la sensazione è che dietro l’articolo di Ft ci sia molto più che un suggerimento finanziario o industriale. E non è un caso che lo spunto dell’analisi sia stato fornito da uno studio del fondo newyorkese Knight Vinke. La tesi espressa ha infatti un sapore tutto americano, soprattutto alla luce della recente firma ad Ankara dell’accordo italo-turco-russo per il gasdotto South Stream. Un progetto cui partecipa il colosso italiano e che rischia di azzoppare definitivamente l’altro grande corridoio energetico, il Nabucco, con cui gli Stati Uniti tentano di scardinare il predominio di Vladimir Putin sui rifornimenti per l’Europa.Nella partita l’Eni gioca un ruolo strategico. Oltre al legame sempre più stretto con la russa Gazprom, infatti, il Cane a sei zampe è anche proprietario all’89% del gasdotto Tag, che insieme al North Stream garantisce l’approvvigionamento di energia all’Europa aggirando territori “scomodi” come Polonia, Bielorussia e Ucraina. In particolare il Trans austria gasleitung porta circa 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno dalla Siberia fino all’Austria e all’Italia. Ed è qui che si incardina la questione degli intrecci proprietari. Lo scorso marzo Bruxelles ha infatti formalizzato nei confronti dell’Eni l’accusa di posizione dominante proprio in riferimento al Tag. In ballo c’è la liberalizzazione del mercato e l’apertura alla concorrenza, ma il vero scontro è sul controllo dell’energia in Europa. Lo sa bene il Financial Times che ieri ha voluto preparare il terreno ad un confronto che scalderà l’autunno. E lo sanno bene anche a Via XX Settembre, dove gli esperti stanno lavorando da tempo alla “società delle reti”. La novità è che ora la partita è doppia. Da una parte il fronte italiano, con la questione Snam rete gas, dall’altra quello europeo, con il nodo Tag. Per entrambi, secondo quanto risulta a Libero, il Tesoro è pronto a giocare la carta Cassa depositi e prestiti (controllata al 70% dallo Stato e al 30% dalle Fondazioni bancarie) come è stato fatto per la rete elettrica Terna o, in alternativa, Fintecna. L’ad di Eni, Paolo Scaroni, punta ovviamente a non mollare nulla. Ma se in Italia il governo sembra disposto ad accontentarsi della separazione funzionale e non societaria di Snam lo stesso potrebbe non accadere con l’Antitrust Ue, malgrado l’offensiva che i legali del Cane a sei zampe stanno preparando. Di qui il piano B per evitare che i “tubi” finiscano in mano straniera. Il progetto è però ancora incagliato su due nodi principali. Il primo riguarda il pericolo di uno stop Ue ad un’operazione che potrebbe configurarsi come aiuto di Stato, il secondo è, ovviamente, legato al prezzo. Quello ipotizzato dagli emissari di Scaroni che stanno conducendo la trattativa non sarebbe ancora adeguato.

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