mercoledì 30 settembre 2009

Il governo licenzia Telefonica

La Cina non c’entra. Ma gli spagnoli se ne devono andare comunque. Che il governo avesse da tempo acceso i riflettori sul dossier Telecom non è un segreto. La partita va avanti da mesi, tra riflessioni sulla presenza ingombrante di Telefonica nell’azionariato dell’ex monopolista e sulla necessità di avviare una volta per tutte il programma di investimenti sulla rete di nuova generazione per consentire finalmente all’Italia di viaggiare sulla banda larga. A un mese dal termine (il 28 ottobre) fissato per ridisegnare il patto di sindacato di Telco (la scatola che controlla il 24,5% di Telecom), Palazzo Chigi ha però deciso di stringere i tempi. A pigiare sull’acceleratore ci ha pensato il viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, durante un’audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera. La quota (42,3%) che Telefonica detiene in Telco «è un problema rilevante che si deve risolvere», ha spiegato l’esponente del Pdl, al quale «penserà l’azienda, ma su cui il governo è molto attento». Romani non ha usato mezzi termini per invocare un rimescolamento degli equilibri societari in nome dell’italianità dell’azienda. «Il governo non può prendere posizione: si tratta di un’azienda privata, con tanto di regole», ha detto il viceministro incalzato dalle domande del deputato della Lega Raffaele Volpi, ma è chiaro che Palazzo Chigi spinge affinché «l’infrastruttura di rete rimanga italiana». In altre parole, o gli spagnoli tornano a casa o Telecom rinuncia al suo asset principale attraverso uno scorporo. Ipotesi quest’ultima che il management della società vede come fumo negli occhi.
Se le intenzioni sono chiare, le soluzioni lo sono molto meno. Assodato che Telefonica è «un problema da risolvere», anche per gli ostacoli all’attività di Telecom in Argentina (Paese dal quale è imminente l’uscita) e in Brasile per questioni di normativa Antitrust, si tratta di capire da chi potrebbero essere sostituiti. E, soprattutto, a che prezzo. Il dossier è da tempo sul tavolo dei quattro soci (Mediobanca, Generali, Intesa e i Benetton) che siedono insieme a Telefonica nel patto di sindacato. I riflettori sono puntati sulla Findim della famiglia Fossati, che, forte del suo 5% di Telecom fuori da Telco, qualche settimane fa aveva ribadito la necessità di dare al gruppo «un assetto strategico definitivo per il futuro». Recentemente alcune banche d’affari avrebbero anche studiato l’ipotesi di un’alleanza con le Poste. Mentre in passato il mercato aveva guardato a un matrimonio con Mediaset, sempre smentito.
L’unica cosa che sembra da escludere, vista l’insistenza del governo sull’italianità, è il coinvolgimento di altri partner stranieri. Il viaggio in Cina, ha spiegato Romani smentendo alcune indiscrezioni di stampa, «non c’entra nulla con Telecom, siamo andati in estremo oriente solo per parlare di infrastrutture e per vedere come lavorano».
Sullo sfondo ci sono poi anche le insofferenze di alcuni soci (in particolare Intesa) sull’attuale gestione dell’ad Franco Bernabé. Attriti tenuti a freno, per ora, dalla regia di Mediobanca sono in qualche modo espressione.
Ma il nodo principale resta il prezzo. Il titolo ieri ha chiuso a 1,22 euro (in calo dell’1,61%), ben lontano dai 2,2 euro ai quali è stata svalutata la partecipazione di Telco in telecom.
Ed è chiaro che per liquidare gli spagnoli servirà qualcosa di più dei 3 miliardi del valore attuale della quota. Ipotesi esplosiva per Telecom, che deve ancora combattere con i suoi 35 miliardi di debiti. La cautela del presidente Gabriele Galateri, quando sostiene che «le sinergie con Telefonica vanno sfruttate fino in fondo», non è casuale.

libero-news.it