mercoledì 16 settembre 2009

Novità al telefonino. Il cambio del gestore entro tre giorni

Tre giorni erano e tre giorni devono tornare ad essere. L’elastico della portabilità torna a stringersi. Dopo un braccio di ferro durato diversi mesi il Consiglio di Stato ha riportato le lancette alla disposizione iniziale dell’Authority per le tlc: gli operatori di telefonia mobile devono garantire il trasferimento del numero entro le 72 ore successive alla richiesta da parte del cliente. La decisione della giustizia amministrativa annulla la precedente sentenza con cui, nel giugno scorso, il Tar del Lazio aveva accolto il ricorso di Telecom e Vodafone contro la delibera dell’Agcom.

Secondo i due operatori “dominanti” il termine di tre giorni imposto dall’Authority costituirebbe una violazione alle norme che regolano il preavviso per il recesso dal contratto. Il riferimento è alla Legge Bersani, che prevede un termine di trenta giorni per tutti i contratti civili. In altre parole, per le due società di tlc i tre giorni dovrebbero aggiungersi ai trenta. Con buona pace dell’utente che vuole cambiare gestore. E dell’Europa, che continua a bacchettarci per i nostri tempi di trasferimento (una media di quindici giorni che ci colloca al penultimo posto dopo la Polonia). Tutt’altra, ovviamente, la versione (forse più in linea con lo spirito della Bersani) del Consiglio di Stato, che ritiene i trenta giorni un «termine massimo a garanzia del consumatore» e non un termine minimo a tutela dell’azienda.

La questione sul tavolo, chiaramente, va al di là del semplice disservizio. Non si tratta soltanto di evitare al consumatore inutili lungaggini burocratiche in un settore dove tutto è automatizzato. In gioco c’è la correttezza della competizione tra grandi e piccoli. Molto spesso, infatti, il periodo che intercorre tra la richiesta di portabilità del numero e la chiusura della pratica viene utilizzato dalla società per non perdere il cliente. In gergo tecnico si chiama attività di retention. In soldoni sono le telefonate martellanti con cui il vecchio operatore cerca di scoraggiare il passaggio al nuovo, anche attraverso annunci di offerte che poi non si concretizzano. La sostanza è che se la portabilità non si realizza in tempi rapidi, cade la ragione per cui è stata istituita. Ovvero favorire la concorrenza tra le varie offerte e allargare il mercato a nuovi competitor.

Non è un caso che oltre alle associazioni dei consumatori e all’Agcom, a firmare l’appello contro la sentenza del Tar c’erano anche operatori alternativi come Wind, Poste e 3.

Lo stesso Consiglio di Stato, nell’accogliere il ricorso, ha sottolineato che dalla decisione del Tribunale regionale «deriva un danno grave e irreparabile agli operatori minori, chiaramente pregiudicati dalla sospensione di un regime regolatorio che tende a disciplinare la portabilità del numero in modo efficace». Anche Vodafone, pur difendendo il «diritto dei clienti a fruire di offerte migliorative del proprio gestore anche durante il cambio di operatore», ha però voluto chiarire ieri che sull’accorciamento dei tempi di passaggio la società auspica che l’Authority possa garantire «certezza e minori ostacoli ai clienti» anche sulla telefonia fissa. Settore, guarda caso, dove il colosso dei cellulari torna ad essere un “minore”.

L’intervento dei giudici amministrativi non mette la parola fine alla vicenda. La disposizione si limita infatti ad annullare una sospensiva con cui il Tar aveva congelato la delibera dell’Authority. Ora bisognerà aspettare la sentenza di merito. Ma è chiaro che il parere del Consiglio di Stato, soprattutto nel passaggio in cui stabilisce che il rispetto del termine di tre giorni non comporta per Telecom conseguenze che abbiano «i requisiti della gravità ed irreparabilità del danno», peserà sulle determinazioni future.

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