venerdì 4 settembre 2009

Il piano di Bruxelles per liberalizzare le reti del gas mette l'Eni all'angolo

Ottenere a colpi di procedure d’infrazione quello che non si è ottenuto per via legislativa. È questa l’operazione cui sta lavorando la Commissione Ue per ottenere una rete del gas indipendente nel cuore dell’Europa. Ed è questo lo scenario che in questi giorni preoccupa sia l’Eni sia l’azionista di pro tempore Giulio Tremonti. La provocazione del Financial Times ispirata dal fondo newyorkese Knight Vinke ha immediatamente riaperto il dibattito sull’unbundling (la separazione della rete) che negli ultimi mesi era finito sotto traccia. L’ipotesi di fare lo spezzatino del Cane a sei zampe è piaciuta molto alla Borsa, che pregusta eventuali scalate agli asset di Eni. Molto meno ai diretti interessati e al governo. Il “no” argomentato di Paolo Scaroni è contenuto in una lettera inviata all’indirizzo di Knight Vinke. L’ad di Eni nega i vantaggi sotto il profilo finanziario e spiega invece i problemi che si creerebbero sotto quello industriale e geopolitico. Idea bocciata anche dal sottosegretario allo Sviluppo, Stefano Saglia, secondo il quale se l’Italia «procedesse alla separazione creerebbe un’asimmetria con gli altri Paesi europei». Quanto agli ispiratori di Ft, Saglia conferma quanto scritto da Libero, e cioè che «un certo movimento nel mondo economico e istituzionale angloamericano non vede con simpatia alcune iniziative intraprese in questi ultimi mesi dall’Eni».
Il sottosegretario la butta lì, ma la questione è centrale. L’insofferenza di Obama per gli accordi sull’energia che l’Italia sta stringendo con la Russia di Putin rappresenta infatti una sponda formidabile per quello che sta tentando di realizzare la Commissione Ue: la liberalizzazione delle reti per via “giudiziaria”. Una strategia che permetterebbe all’Europa di affrancarsi parzialmente dal controllo di Mosca. L’operazione è una sorta di piano B dopo il fallimento (per colpa principalmente di Francia e Germania) del tentativo di imporre con una direttiva la separazione proprietaria delle reti in luogo della più morbida separazione funzionale. Nel mirino dell’Antitrust Ue ci sono i principali colossi europei dell’energia, tutti in vario modo accusati di sfruttare una posizione dominante grazie al controllo della produzione e della rete. I francesi di Gdf stanno trattando in questi mesi con Bruxelles per la cessione a terzi dei principali punti di entrata della rete e dei gasdotti verso la Germania Megal e verso il Belgio Zeebrugge. Con la tedesca Rwe si è già arrivati ad un accordo attraverso la creazione di una società separata per la cessione di una fetta consistente della rete. Operazione che darà vita ad un corridoio indipendente tra Germania e Belgio da un lato e Olanda dall’altro. Resta l’Italia. I riflettori sono puntati non tanto su Snam, quanto sui gasdotti dell’Eni Transitgas (verso la Svizzera), Tenp (tra Svizzera, Germania e Olanda) e soprattutto sul Tag, che porta il gas dalla Siberia attraverso l’Austria all’Italia. Bruxelles, in teoria, potrebbe anche imporre al Cane a sei zampe la cessione dei tubi. Ma il governo ha già fatto sapere che non accetterà una soluzione del genere. Di qui il lavoro che stanno svolgendo in questi giorni i tecnici dell’Eni e del Tesoro per trovare un’alternativa. Sul tavolo c’è la Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe salvare capra e cavoli acquistando i gasdotti. Ma la partita è tutta da giocare.

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