giovedì 7 gennaio 2016

Renzi ha finito i soldi, solo 3,5 euro agli statali

Sarà una trattativa difficile quella che il governo si appresta ad aprire con i sindacati per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Lo spettro della mancetta, paventato dalle sigle già dallo scorso ottobre, si è ormai concretizzato con la conferma nella legge di stabilità approvata a fine dicembre di uno stanziamento complessivo di 300 milioni di euro per il triennio 2016-2018.
La cifra messa sul piatto dal governo in seguito alla bocciatura da parte della Consulta del blocco dei contratti e degli stipendi della Pa non consente grandi spazi di mamovra. Anzi, non ne concede affatto. Facendo bene i conti, infatti, si è scoperto che persino i 5-6 euro al mese di cui si era parlato in autunno sono destinati a ridursi ulteriormente.

Intanto c’è la quota riservata al comparto sicurezza. Il comma 466 della manovra riserva 74 milioni della somma a Forze Armate e Corpi di Polizia. Altri 7 sono destinati al personale statale non contrattualizzato (magistrati e docenti universitari). Il resto, 219 milioni, sarà utilizzato per tutti gli altri lavoratori statali.
Gli esperti del Sole24Ore hanno calcolato che si tratta di circa 100 euro lordi pro capite. Soldi da cui bisogna togliere, in base al comma 467 della legge di stabilità, anche i contributi e l’Irap a carico del datore di lavoro, in questo caso lo Stato, per circa 33 euro. Ne restano 67, che diviso per 13 mensilità fa poco più di 5 euro. Ma si tratta di cifre lorde. Per avere il netto bisogna sforbiciare ancora la mancetta di Renzi di un altro 25-30% che finiscono in contributi e e ritenute erariali a carico del lavoratore. Il conto finale dei quattrini che finiranno effettivamente in tasca ai dipendenti statali è dunque di circa 3,5 euro al mese. Praticamente un cappuccino con  brioche.

Per tentare di smorzare in anticipo le polemiche e dare una mano al governo l’Agenzia che rappresenta il governo al tavolo con i sindacati, l’Aran, qualche giorno fa ha pubblicato nel suo rapporto semestrale un’analisi storica della dinamica delle retribuzioni nella Pa. Secondo l’Agenzia tra il 2010 e il 2014, il periodo interessato dal blocco contrattuale dichiarato illegittimo (solo per il futuro) dalla Corte costituzionale lo scorso giugno, le buste paga del pubblico impego avrebbero perso appena l’1%. Ma la riduzione sarebbe stata ampiamente compensata da una crescita nel decennio precedente ben al di sopra della media, con un incremento del 40%.

Il dato è stato contestato duramente dai sindacati. Ma anche prendendolo per buono il senso dell’operazione di Renzi non cambia granché. Così come è già accaduto, in maniera plateale, con la perequazione delle pensioni, il premier ha deciso di farsi beffe tranquillamente della sentenza della Consulta. I giudici costituzionali, in linea con quanto già fatto con la Robin Tax, hanno prudentemente salvato il passato. Un’applicazione retroattiva dell’illegittima del blocco, secondo quanto dichiarato dall’Avvocatura dello Stato, sarebbe pesata circa 35 miliardi sui conti pubblici, con un trascinamento di circa 13 miliardi annui per il futuro. Ma nulla viene scritto nella sentenza che autorizzi il governo a disattendere le norme in vigore per i rinnovi contrattuali della Pa.

Norme che indicano chiaramente che la definizione del calcolo viene fatta «assumendo la previsione dell’indice Ipca quale parametro di riferimento per l’individuazione dell’indice previsionale da applicarsi ad una base di calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiali». Ora, è vero che di soldi nel bilancio pubblico ce ne sono pochi e che le stesse norme prevedono che gli aumenti debbano avvenire «nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge finanziaria».
Ma la sproporzione tra le somme (su cui peraltro il governo stava ragionando la scorsa estate) che spetterebbero agli statali in base alla legge e quelle effettivamente stanziate è siderale. Secondo l’Indice dei prezzi indicato dal Def per il periodo 2016-2018 la spesa doveva essere di 1,7 miliardi nel 2016, 4,2 miliardi per il 2017 e 6,7 per il 2018. Tradotto in aumenti: 486 euro annui, 37 euro lordi mensili. Che sarebbero diventati 92 nel 2017 e 147 nel 2018.

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