Altro che flessibilità permanente. Per rispettare gli impegni con la Ue l’Italia dovrà stringere di nuovo la cinghia. E gli sforzi, se tutto va bene, dovranno proseguire almeno fino al 2026. Il giudizio di Bruxelles sulla manovra arriverà solo in primavera. Ma le analisi contenute nel Rapporto sulla sostenibilità dei bilanci pubblici (Fiscal Sustainability Report) per il 2015, pubblicato ieri dalla Commissione europea non lasciano molti dubbi sul verdetto che si abbatterà sul nostro Paese.
I giudizi messi nero su bianco nel documento rendono privi di senso i festeggiamenti con cui qualche giorno fa il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, avevano accolto i numeri dell’Istat sull’andamento del terzo trimestre 2015. Quei dati, accanto ad un leggero calo del deficit, indicavano un altrettanto lieve aumento dell’avanzo primario (il saldo tra entrate e usicite dello Stato al netto degli interessi sul debito) dall’1,4 all’1,5%.
Ed è proprio su quest’ultimo valore che si concentrano le attenzioni degli esperti europei, che sottolineano un calo «significativo» di circa 1,5 punti percentuali rispetto al picco del 4% registrato nel 2013 e al 2,5% previsto per il 2017. Anche centrando l’obiettivo del prossimo anno la partita sarebbe appena all’inizio. Il problema, dicono dalla Commissione, è che l’Italia dovrà mantenere ritmi elevati per i prossimi 10 anni. Solo in questo modo potrà sperare di arrivare, o almeno avvicinarsi, al traguardo di medio termine. Il nodo è chiaramente la riduzione del debito. Lo scenario di base, che prevede l’impresa titanica di non far scendere l’avanzo primario sotto il 2,5% del pil fino al 2026, permetterebbe all’Italia di far scendere il buco di bilancio al 110% del pil (il 20% in meno rispetto all’attuale 133%) nell’arco di 10 anni.
Ma ciò non sarebbe ancora sufficiente a garantire il rispetto della regola del debito prevista dal Fiscal compact. «Se la convergenza del bilancio in termini strutturali verso l’obiettivo di medio termine», si legge nel rapporto, «fosse rispettato, sulla base del patto di stabilità e in linea con gli aggiustamenti di bilancio previsti dalla comunicazione sulla flessibilità, il debito pubblico diminuirebbe in modo più sostanziale rispetto alle proiezioni di base, fino a quasi il 100% del pil nel 2026». Tuttavia, proseguono gli economisti della Ue, «ciò richiederebbe un avanzo primario strutturale significativamente più alto di quanto previsto». Per l’esattezza il saldo dovrebbe essere più alto di 1,3 punti percentuali, attestandosi almeno al 3,8% per tutto il periodo compreso tra il 2017 e il 2026. Una prospettiva praticamente impossibile. Di qui le conclusioni di Bruxelles: il debito resta «la principale fonte di vulnerabilità» dell’Italia» e l’analisi di sostenibilità nel medio termine presenta un «alto rischio».
Niente da temere per il Tesoro, che anzi rivendica la sostenibilità dei conti sul breve e lungo periodo (che la Ue non giudica preoccupante). Quanto ai rischi, spiegano dal ministero dell’Economia, è solo che «il pesante debito pubblico rende il paese più esposto in caso di shock esterni» ed è per questo che il governo ne ha «programmato la discesa dal 2016».
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