venerdì 15 gennaio 2016

Vicino il sì ad una bad bank leggera, ma così il credito resta incagliato

Doveva essere una fuoriserie. Somiglia sempre più ad un triciclo. Il braccio di ferro con la Commissione Ue sulla bad bank non si mette bene. Dopo mesi di guerriglia sottotraccia, combattuta più che altro nei tavoli tecnici tra esperti del Mef, di Bankitalia e di Bruxelles, per tentare di far digerire agli euroburocrati la creazione di un mega sorbatoio parapubblico in cui far confluire tutta la spazzatura in pancia alle banche, la posizione dell’Europa non è cambiata di una virgola. Il giochino è sempre lo stesso. Formalmente ogni Paese membro è libero di scegliere la strada che preferisce.  Come ha spiegato mercoledì scorso al Sole24Ore la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager «è l’Italia che deve decidere ciò che vuole.

Deve decidere se in questo frangente usare denaro pubblico o no». Nel primo caso, però, Bruxelles sente l’odore di aiuti di Stato, carica l’artiglieria e spara ad alzo zero. Così come è successo recentemente con la bocciatura del salvataggio di Banca Tercas avenuto nel 2014 ad opera del Fondo interbancario di tutela dei depositi.
Il messaggio è arrivato chiaro in Italia, che nel corso delle ultime settimane ha abbandonato l’idea della bad bank di sistema in favore di una soluzione più soft. Un compromesso al ribasso la cui efficacia nel fare pulizia degli oltre 200 miliardi di sofferenza delle banche italiane è tutta da dimostrare.

Il nuovo piano è stato presentato in questi giorni a Bruxelles. «Si tratta di mettere in piedi un meccanismo che faciliti gli scambi», ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan a margine dell’Eurogruppo. Perché un mercato per questi crediti esiste, ma «come ogni mercato di qualcosa di nuovo gli serve un avvio, bisogna varare una nave che poi procede per conto suo, e con l’economia che migliora sarà più facile».
L’operazione, secondo le prime notizie trapelate, dovrebbe ruotare intorno alla creazione di una serie di società veicolo (non più un grande serbatoio, dunque) in cui le singole banche, o più banche associate fra loro, trasferiranno i crediti deteriorati. Le società, che dovranno finanziarsi emettendo obbligazioni, potranno chiedere una garanzia pubblica. Questa, che presumibilmente sarà fornita dalla Cdp o dalla sua controllata Sace (ma anche la Bei ieri si è detta interessata), sarà non solo su richiesta, ma anche a titolo oneroso. Con prezzi che saranno quelli di mercato, per evitare qualsiasi forma di svantaggio per le banche che sceglieranno di non avvalersi dello strumento pubblico. Messa così, la bad bank potrebbe pure ricevere (anche se non è mai detto) il via libera della commissione. Ma  siamo sicuri che, come dice Padoan, la nave sarà in grado di procedere per conto suo? Ad ostacolare la navigazione, oltre tutto, c’è anche il salvataggio delle quattro banche commissariate, le cui sofferenze sono state cedute ad una bad bank con una svalutazione di oltre l’80%. Una soglia che farebbe andare a gambe all’aria i bilanci di tutte le principali banche.

Oltre all’Fmi, che ieri ha ribadito l’urgenza di una soluzione per sbloccare il credito e far ripartire i prestiti a imprese e famiglie, anche S&P ha puntato il dito sul baratro che si sta aprendo. Secondo l’analista dell’agenzia di rating Mirko Sanna le sofferenze in Italia sono a circa il 20% dei prestiti complessivi, valore che aumenterà «gradualmente». In Germania, che non a caso ora si oppone con tutte le forza ad un fondo di garanzia europeo per le banche dopo averle per anni foraggiate con soldi pubblici, sono al 3,4%.

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