venerdì 15 gennaio 2016

Euroschiaffo a Renzi: ora basta aiutini

Solo una settimana fa Matteo Renzi si era beccato il sonoro ceffone di Jeroen Dijsselbloem. «La flessibilità è un margine, si può usare una volta sola. Non si può esagerare», aveva detto il presidente dell’Eurgruppo, irrigidendo un atteggiamento verso il premier che ad inizio settembre, prima che la legge di stabilità fosse nero su bianco, si poteva sintetizzare in un «sostegno alle ambiziose riforme del governo».

Ma Dijsselbloem è il falco dei falchi, rigorista ad oltranza. Nulla di più facile che di tanto in tanto arrivi qualche bacchettata sul rispetto degli impegni con la Ue.
Ieri, però, a gelare l’Italia è arrivata anche una colomba. E non una qualsiasi, ma Pierre Moscovici, che all’epoca della formazione dell’esecutivo europeo veniva inserito alla casella «alleato».
Addirittura si arrivò a dire che Renzi si era impuntato sulla Mogherini alla politica Estera, perché intanto per i temi economici poteva contare sull’aiuto del francese.
Ricordate l’asse di ferro Roma-Parigi sulla flessibilità, la grande battaglia contro l’austerity della Merkel? Un pallido ricordo. Ieri sulla Stampa il commissario Agli affari economici ci è andato giù pesante. «L’Italia ci critica e non capisco perché, è il Paese che ha avuto di più in termini di flessibilità», ha spiegato l’euroburocrate francese, aggiungendo che «la flessibilità è per definizione un elemento marginale. Non cambia i giochi». Cosa che invece Renzi sembra voler fare.

Moscovici non lo dice, ma lo fa capire. «L’Italia», ha spiegato nell’intervista, «è il solo Paese dell’Eurozona che ha domandato più tipi di flessibilità. Non la clausola congiunturale, perché - fortunatamente - nel Paese c’è la crescita, ma quella per gli investimenti e quella strutturale. Quest ’ultima non è una novità perché avevamo già concesso 0,4 punti di margine. La prima può essere ottenuta, basta dimostrare che gli investimenti sono stati tali da giustificare la flessibilità aggiuntiva dello 0,3 auspicata». Cosa che sara valutata «da qui alla primavera». Quanto allo 0,2% chiesto per la clausola migranti/sicurezza il commissario non ha nascosto il fastidio della commissione per la scelta del premier di andare avanti senza preallertare Bruxelles. «Esamineremo la questione ex post», ha tagliato corto.

Che i francesi si sfilassero dal patto anti austerity era, d’altra parte, scontato dopo gli attentati del 13 novembre. La Francia la clausola sicurezza ce l’ha già approvata d’ufficio. E non è neanche detto che le serva. Gli ultimi dati della Banca centrale hanno rilevato che l’effetto Bataclan non c’è stato. La crescita del Pil nel quarto trimestre 2015 è rimasta invariata al +0,3%, così come stimata a dicembre, con una limatura solo dello 0,1% per il terrorismo. La previsione per il 2015 è +1,2%, in linea con le precedenti stime.
Tutt’altra la musica per l’Italia, dove la ripresa annaspa e per ogni dato che fa ben sperare ne arriva un altro che ci riporta nel baratro. Ieri, dopo lo spiraglio arrivato qualche giorno fa sui consumi, è stata la volta della produzione industriale di novembre, nuovamente in territorio negativo dello 0,5% rispetto ad ottobre. Nel confronto con il 2014 torna il segno più. Ma sono valori, ha spiegato Andrea Goldstein, managing director di Nomisma, «lontani da quelli necessari per un’accelerazione». Anche il presidente di Confindustria ha ammesso che il dato è «brutto». Mentre il Centro studi dell’associazione ha previsto un timido +0,1% per dicembre. Il che significa che nel quarto trimestre si avrebbe un incremento dello 0,2% sul terzo, dopo il +0,4% del terzo sul secondo. Risultato: «La variazione congiunturale trasmessa statisticamente al primo trimestre 2016 e  -0,1%».

Il governo non si è scomposto. «La flessibilità che l’Italia chiede è esattamente quella prevista dalla Commissione, non ce n’è troppa né poca», ha detto Pier Carlo Padoan, ieri a Bruxelles per l’Eurogruppo, annunciando un incontro con il commissario. È chiaro, però, che la strada si fa in salita. Anche perché tutta la manovra è tarata su obiettivi di pil che si stanno via via sgretolando. Lo 0,9% previsto nella Nota di aggiornamento del Def di settembre (con un ribasso rispetto alle precedenti stime) è stato già ridimensionato allo 0,8%. Per il 2016 il governo prevede più dell’1,5%, ma ieri S&P non è andata oltre l’1,3%. Accanto alla lentezza con cui si sta manifestando l’annunciata ripresa, Renzi è sempre più isolato a Bruxelles. Angela Merkel, in difficoltà sull’immigrazione, non vuole saperne di mollare sulle questioni economiche (forte anche del suo 1,7% di Pil nel 2015 annunciato ieri), e in particolare su quelle che riguardano l’Italia. Come la pensa Moscovici si è capito. Quanto ai colleghi di Padoan, difficile che lì si possa trovare solidarietà. Il presidente fisso dell’Eurogruppo è proprio Dijsselbloem. E il destino ha voluto che sia sempre lui, nell’ambito della presidenza semestrale dell’Olanda, ad essere il presidente di turno dell’Ecofin.

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