venerdì 29 giugno 2012

Berlino ci prende in giro. Monti minaccia il veto

Aiuti solo a chi li chiede. Può sembrare un cavillo, ma il braccio di ferro europeo si gioca tutto qui. E la sensazione, al di là della soluzione formale che uscirà oggi dal Consiglio dei capi di Stato e di governo dell’Unione, è che sulla sostanza della questione la Germania non farà grandi passi indietro. Archiviata la pratica degli eurobond («la posizione della Germania non è cambiata in nulla», ha ribadito in serata Berlino), su cui malgrado gli annunci e le chiacchiere non c’è mai stato alcuno spiraglio di compromesso, la trattativa negli ultimi giorni, e nelle ultime ore, si è concentrata sul cosiddetto scudo anti-spread. In altre parole, la possibilità di interventi europei per sgonfiare i rendimenti dei titoli di Stato di Paesi tecnicamente “virtuosi” ma presi d’assalto dalla speculazione.

La giornata del vertice si è aperta con quella che, attraverso le pagine del Wall Street Journal, sembrava una clamorosa apertura della Germania. Dopo aver ribadito che senza uno «zar europeo dei bilanci», che abbia il potere di mettere liberamente le mani nelle finanze dei singoli Paesi (cambiando quindi i trattati), degli eurobond non se ne fa niente, il ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schaeuble, inseriva però tra le misure possibili in caso di emergenza anche gli acquisti diretti di bond pubblici attraverso i fondi di salvataggio europei. Esattamente la proposta su cui nelle ultime settimane hanno lavorato Mario Monti e il premier francese Francois Hollande.

L’euforia è durata giusto il tempo di leggere bene le parole del ministro: la Germania si oppone a «recenti proposte» che vorrebbero «interventi automatici» senza «una formale richiesta da parte dei governi».
Ed ecco il nodo intorno a cui si litiga da settimane, se non mesi. Per la cancelliera Angela Merkel gli spazi di manovra sono chiarissimi: i fondi salva stati sono a disposizione, purché se ne faccia richiesta formale. Il che significa siglare un memorandum di intesa con la Commissione Ue che, sentita la Bce e l’Fmi, domanda in cambio una serie di severi impegni da rispettare. Di fatto, per il Paese beneficiario, significherebbe l’arrivo della troika, come già successo a Grecia, Irlanda e Protogallo.
L’Italia, affiancata in qualche modo da Francia e Spagna, al contrario chiede che i Paesi virtuosi, che hanno cioè determinate caratteristiche (assenza di procedure di infrazione sui conti pubblici, avanzo primario, progressi sul fronte delle riforme strutturali) possano ricevere il sostegno del meccanismo anti-spread automaticamente, tutte le volte cioè che i tassi di interesse superino un certo «tetto».

Il compromesso a cui stanno lavorando i leader Ue ruota intorno alla Bce. L’ipotesi sarebbe quella di affidare direttamente a Francoforte l’acquisto automatico di titoli di Stato, oltre una determinata soglia del differenziale con i bund tedeschi. Si tratterebbe, di fatto, di istituzionalizzare e automatizzare quegli interventi fatti discrezionalmente e autonomamente dagli uomini di Mario Draghi in maniera massiccia nella fase più acuta della crisi. L’Eurotower ha lanciato il suo programma di acquisto di titoli di Stato nel 2010 e da allora ha speso complessivamente oltre 210 miliardi. La richiesta del fronte anti-Merkel è che i soldi in futuro vengano utilizzati per scudare scientificamente i titoli di alcuni Paesi. Altro nodo da sciogliere, considerato che a quel punto servirebbe una potenza di fuoco ben maggiore, è dove reperire le risorse. E qui rientrerebbe in gioco il fondo salva stati, che farebbe, però, solo da garante per le operazioni della Bce. Il giochino sarebbe, insomma, quello di utilizzare comunque le risorse dei fondi, ma senza che siano essi direttamente a fare gli acquisti. Uno scenario confuso e tutto da verificare sotto il profilo della compatibilità con i trattati, sia per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse di Efsf ed Esm, sia per quanto riguarda i compiti e i paletti della Bce. Punti, quest’ultimi, su cui la Germania non è sembrata finora molto flessibile. «È prematuro dire che c’è uno spiraglio» sulla proposta anti-spread, ha ammesso ieri sera una fonte della delegazione italiana al vertice di Bruxelles. L’argomento non è stato comunque trattato nella prima riunione plenaria, e si spera venga affrontato successivamente, magari nella notte.

Per il resto, dal vertice dovrebbe uscire il famoso pacchetto per la crescita proposto dal presidente della Commissione Ue, Barroso (120-130 miliardi per le infrastrutture attraverso project bond e interventi della Bei) e una road map per arrivare a fine anno ad una decisione su una «effettiva Unione monetaria ed economica». Nel documento all’esame del Consiglio Ue si afferma in particolare che «entro la fine del 2012 la Ue dovrà dotarsi di un meccanismo di messa in sicurezza del sistema bancario, creando uno schema comune per le garanzie sui depositi, e un fondo comune con poteri di risoluzione per la gestione delle crisi».
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