martedì 12 giugno 2012

Noi in mutande e Monti aumenta la spesa

Corrado Passera ammette che il quadro è fosco, ma minimizza: «I dati Istat sono in linea con le previsioni che avevamo». Sta di fatto che un crollo del pil come quello certificato ieri dall'Istituto nazionale di statistica non si vedeva dal 2009 e piazza il nostro Paese dietro a tutte le grandi economie, dalla media dell'Eurozona agli Stati Uniti, fino al Giappone. Su base annua il prodotto interno lordo del primo trimestre è scivolato dell'1,4% (una rilevazione peggiorata rispetto al -1,3% stimato lo scorso 15 maggio), mentre sui tre mesi precedenti il differenziale negativo è stato dello 0,8%. L'Italia aveva fatto peggio solo nel primo trimestre del 2009, quando il pil crollò del 3,5% (e di oltre il 5% alla fine dei dodici mesi) sotto i colpi violentissimi della crisi mondiale dei mutui subprime.

E sempre all'inizio del 2009, quando il calo fu del 2,5%, bisogna tornare per trovare un azzeramento dei consumi altrettanto pesante di quello registrato dall'Istat nei primi mesi di quest'anno. La spesa delle famiglie è infatti scesa del 2,4% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2011. Un dato che certifica ufficialmente l'impatto recessivo della stangata (sia quella già arrivata sia quella annunciata) sulle tasche degli italiani. Le famiglie hanno risparmiato su tutto. Per i beni durevoli il calo annuo è stato addirittura a doppia cifra: -11,8%. Rientrano in questa categoria l'auto, l'arredamento, gli elettrodomestici. Spese di una certa consistenza che sono state comprensibilmente rinviate a tempi migliori. Ma i sacrifici hanno riguardato anche i beni non durevoli. A partire da quelli alimentari, fino ai medicinali, dai detergenti fino ai prodotti per la persona. Qui il calo è stato del 2,3%.

L'unica cifra positiva snocciolata dall'Istat, manco a dirlo, è stata quella relativa alla Pubblica amministrazione. Se agli italiani è stato chiesto di stringere la cinghia, lo Stato, invece, non conosce crisi. La spesa della Pa è infatti la sola componente della domanda interna che nel primo trimestre ha registrato una variazione positiva, con un incremento dello 0,4% sul trimestre precedente a frontedel -1% rilevato dall'Istat e al calo complessivo dei consumi finali dello 0,6%. Praticamente enti e ministeri sono gli unici soggetti che in Italia continuano a fare acquisti (magari pagando dopo due anni), in barba all'annunciata spending review.

Tranne l'agricoltura, il cui valore aggiunto è aumentato del 4,9%, gli indicatori sono tutti in flessione. L'andamento dell'offerta mostra variazioni congiunturali negative per l'industria (-2,0%) e i servizi (-0,6%). In termini congiunturali, le importazioni di beni e servizi sono diminuite del 3,6% e il totale delle risorse (pil e importazioni di beni e servizi) dell'1,5%. Dal lato della domanda, le esportazioni sono calate dello 0,6%, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti del 3,6%.

Se le cose non cambiano in fretta, hanno calcolato sia la Cgil sia le associazioni dei consumatori, la recessione presenterà alla fine dell'anno un conto salatissimo, con il pil a picco del 2%. Malgrado le rassicurazioni del ministro dello Sviluppo economico, si concretizzerebbe per il nostro Paese lo scenario prefigurato dall'Ocse di una crescita negativa dell'1,9% per il 2012. Stime lontane anni luce non solo da quelle presentate dal governo a dicembre, in occasione della messa a punto della manovra salva Italia, quando il pil per quest'anno era previsto a -0,4%, ma anche da quelle riviste fortemente al ribasso nel Documento di economia e finanza presentato a metà aprile, dove la crescita stimata per il 2012 si attesta a -1,2%. A bocce forme, ovvero immaginando che il pil dei prossimi trimestri resterà ancorato ad un tasso dello 0%, il Pil nel 2012 sarebbe già in flessione dell'1,4%. Percentuale che coincide con la stima, che a questo punto si può considerare molto ottimistica, diffusa il mese scorso dalla Commissione europea.

Per la Cisl i dati dell'Istat rappresentano «l'ultima chiamata per il governo, che deve varare immediatamente il decreto sviluppo». Anche la Confcommercio fa presente che «la crisi si allunga» e chiede «misure adeguate e rapide». Mentre Confesercenti sottolinea come «paura, incertezze e pressione fiscale insostenibile» stiano «condizionando pesantemente i comportamenti di imprese e famiglie». Impressionanti i calcoli di Federconsumatori e Adusbef, che parlano di una «una diminuzione di quasi 900 euro a famiglia, pari ad una media di 58 giorni di spesa alimentare». Vede nero anche il neo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, secondo cui il dato dell'istat non solo «è negativo, ma è una conferma che se non cambia qualcosa nel prossimo secondo trimestre sarà anche peggio».

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