venerdì 15 giugno 2012

Terremoto in Emilia, la Regione sapeva da cinque anni del rischio sisma

Limitare i danni e, soprattutto, le vittime. Mentre in Emilia la terra continua a tremare (ieri mattina si è registrata un’altra scossa di magnitudo 3,6), da alcuni documenti inediti emerge uno scenario assai diverso da quello che finora ci è stato raccontato. Difficile dire cosa si sarebbe potuto o dovuto fare, come si sarebbe potuto intervenire. Prevedere un terremoto, come abbiamo ormai tristemente imparato, è impossibile. Così come è impossibile costruire edifici in grado di fronteggiare le più violente manifestazioni della natura. Quello che è certo è che la Regione, malgrado le numerose smentite, sapeva. E sapeva non da alcuni mesi, grazie agli allarmi della Commissione grandi rischi, ma addirittura dal 2007.

La clamorosa verità è contenuta negli archivi stessi della regione, dove sono custodite una serie di delibere relative proprio ai livelli di rischiosità sismica dell’area interessata nelle scorse settimane dal terremoto. Nel dettaglio, si tratta della documentazione con cui, nel corso degli anni, la Regione guidata da Vasco Errani ha rifiutato di concedere i permessi autorizzativi per la realizzazione di un deposito di stoccaggio di gas da parte della società Erg Rivara Storage Srl. Si tratta, paradossalmente, della stessa società accusata nei giorni scorsi di aver contribuito a stuzzicare il terreno attraverso le trivellazioni per la messa in opera del deposito.
In realtà, a Rivara è stato finora impedito di smuovere anche il più piccolo sassolino. Ed è proprio nei pareri negativi formulati dalla Regione che sono contenute le prove oggi negate di una chiara consapevolezza. La principale motivazione avanzata dall’ente guidato da Errani per bloccare l’attività di stoccaggio consisteva infatti nella pericolosità, certificata da numerosi studi effettuati, di andare a mettere le mani in una zona geologica ad elevata potenzialità sismica disseminata, oltretutto, da edifici non adeguatamente costruiti. Già, perché il rischio principale paventato dalla giunta regionale non era tanto quello della fuga di gas, ma di possibili ripercussioni sull’ambiente sotterraneo e di superficie tali da provocare movimenti nel terreno.

Ma andiamo con ordine. I primi dubbi sono contenuti nella delibera regionale del 2007 protocollata Vim/07/189121. Qui si può leggere intanto che «la caratterizzazione geologico-strutturale e sismotettonica dell’area di Rivara è stata precisata nello studio “Analisi geologico-strutturale-sismologica dell’area di Rivara” prodotto in risposta alla richiesta di integrazioni, il documento è stato elaborato da Eugenio Carminati e Carlo Doglioni del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università La Sapienza di Roma, Davide Scrocca dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del CNR, con la collaborazione di Pierfrancesco Burrato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia». In altre parole, la questione è stata sottoposta al vaglio di fior di scienziati e professori. Ebbene, «dopo aver delineato il quadro sismotettonico dell’area, utilizzando informazioni sismologiche desunte da banche dati pubbliche, lo studio conclude che l’anticlinale di Cavone-Mirandola-Rivara è una struttura attiva che potrà essere interessata in futuro da sismicità a prescindere dall’eventuale utilizzo come serbatoio di stoccaggio di gas».

Nel dettaglio, «l’area individuata da Independent Gas Management Srl per lo stoccaggio di gas è al culmine di una struttura geologica sepolta considerata attiva da molti Autori ed è soggetta ad una sismicità che può essere definita media in quanto interessata da terremoti storici di magnitudo maggiore del grado 5 della scala Richter». E qui già si dimostra che almeno dal 2007 la giunta era perfettamente a conoscenza dei rischi di terremoti superiori al 5 grado, ovvero esattamente quello che è successo. Ma non è tutto. Nella seconda delibera, dell’8 febbraio 2010, progr. num 211/2010, alla presenza di tutti gli assessori e dello stesso presidente Errani, la giunta ribadisce che l’area «potrà essere interessata da sismicità», come «già esplicitato nelle integrazioni prodotte nel giugno del 2007», ma aggiunge anche che «l’area è interessata da strutture tettoniche attive con evidenze anche in superficie». Poco più avanti si ipotizza che «l’attività recente e, forse, attuale della Dorsale Ferrarese è indicata da alcune evidenze nella morfologia di superficie». Insomma, la terra non solo si potrebbe muovere, ma già lo fa. E le conseguenze potrebbero essere drammatiche, perché, come è chiaramente scritto qualche pagina più avanti, «l’area interessata dall’impianto proposto si trova in una situazione di deficit di protezione sismica». In soldoni, le strutture edificate sulla zona, tra cui purtroppo ci sono i numerosi capannoni industriali che abbiamo visto sbriciolarsi nei giorni delle scosse, non sono in grado di reggere in caso di attività sismiche.

La questione è molto semplice. Come ammette candidamente la giunta regionale, «sino al 2005 la zona non era classificata sismica » e la nuova classificazione «è stata recepita dalla regione Emilia Romagna con delibera n. 1677/2005». Quindi, continua il documento, «gli edifici sia pubblici che privati non sono stati progettati secondo la normativa antisismica, presentando un deficit di resistenza». Perché mai negli anni successivi al 2005 nessuno abbia mosso un dito per mettere in sicurezza le costruzioni, considerata l’elevata potenzialità sismica dell’area, la delibera, ovviamente, non lo dice.

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