venerdì 22 giugno 2012

Passera abbrevia le concessioni. Colpo basso alle imprese energetiche

Altro che decreto sviluppo, il provvedimento varato qualche giorno fa dal governo per rilanciare l'economia del Paese rischia invece di far scappare le imprese, e gli investimenti, all'estero. Lo sgambetto alle aziende italiane è contenuto al comma 4 dell'articolo 37, che modifica la tempistica e i criteri di aggiudicazione delle gare per le nuove concessioni idrolettriche. Nel dettaglio, si legge nella relazione tecnica al testo, «la durata delle concessioni è portata a 20 anni (dagli attuali 30)».

La motivazione è, inutile dirlo, nobile. Il tempo, spiega il ministro dello Sviluppo Corrado Passera nel decreto, è «ritenuto congruo per consentire lo sfruttamento della risorsa pubblica e dei benefici degli eventuali investimenti effettuati dal soggetto aggiudicatario, ma al contempo assicurarne la successiva circolazione fra altri soggetti interessanti». Non solo. L'accorciamento dei tempi di concessione consentirebbe anche agli enti locali di ottimizzare le entrate provenienti dal canone. Poiché, si legge, «il prezzo di mercato dell'energia elettrica è difficilmente prevedibile a lungo termine, una durata eccessivamente lunga indurrebbe i soggetti offerenti a sottovalutare (e sottoprezzare) il valore economico della concessione stessa».

In altre parole, garanzie per le imprese, più concorrenza e più entrate per i Comuni. Sulla carta tutta sembra perfetto. Nella realtà, se la norma sarà confermata nella stesura finale del decreto le imprese si preparano a fare le valigie. La riduzione a 20 anni, infatti, stando a quanto riferiscono le aziende del comparto, porterebbe il sistema delle concessioni italiane completamente fuori dall'Europa, dove i tempi «congrui» per un adeguato ritorno degli investimenti nelle grandi derivazioni idroelettriche è considerato ben più ampio. Senza voler considerare l'Inghilterra e la Svezia, dove la concessione ha una durata illimitata e l'assegnazione non è sottoposta a gara, nel resto del Vecchio continente si va dagli 80 anni della Svizzera, fino ai 75 della Francia e della Spagna. Più vicina all'Italia solo la Germania, dove la concessione ha una durata di 30 anni, quanto quella attualmente prevista in Italia, ma viene assegnata senza gara. Questo significa che il rischio di restare a bocca asciutta dopo aver gestito il bacino idroelettrico in maniera efficiente è assai limitato.

Questi termini contrattuali per le concessioni, secondo gli esperti, sono giustificati dagli ingenti investimenti che le aziende devono sostenere per sviluppare, manutenere ed implementare i bacini e gli impianti idroelettrici. La modifica della normativa prevista dal decreto sviluppo rischia ora di danneggiare una produzione da fonti rinnovabili che non solo dà un importante contributo al sistema elettrico nazionale ma all'intero sistema Paese.

A differenza di altre forme di energia verde, infatti, il comparto idroelettrico, che dà lavoro, compreso l'indotto, a circa 20mila persone e ha già messo sul piatto 2 miliardi di investimenti per i prossimi dieci anni, è in grado di alimentare una filiera produttiva tutta made in Italy, dalla costruzione degli impianti fino alla fornitura dei macchinari.
Per quanto riguarda il pericolo di «sottoprezzare» la concessione, va ricordato che gli enti locali già oggi ricevono dagli operatori idroelettrici un importante contributo nei loro bilanci, con aumenti in alcuni casi del canone annuo anche del 200%.
Tra le società che potrebbe subire gli effetti negativi delle nuove norme ci sono tutti i big del settore: Enel, Edison, Egp, A2A, Iren, E.On Italia, Edipower e Tirreno Power. E gli effetti potrebbero farsi sentire prima di quanto si pensi. Alcune concessioni arrivano fino al 2029, ma molte andranno invece in scadenza entro il 2015.
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