martedì 14 febbraio 2012

Sindaci in rivolta per lo scippo della tesoreria. Spiragli di liberalizzazioni per le poste

La sforbiciata è iniziata. Dei 2.300 emendamenti piovuti venerdì scorso in commissione Industria del Senato ben 530 sono finiti direttamente al macero senza passare dal via: erano praticamente identici ad altri già presentati. La seconda sfoltita è in corso in queste ore e riguarda la compatibilità delle modifiche. Sulla base di quanto invocato dal presidente del Senato, Renato Schifani, le proposte dovranno attenersi «strettamente» alle «disposizioni oggetto del decreto e dovranno evitare qualsiasi sconfinamento verso temi aggiuntivi ed estranei». Sulla base di questo principio, il presidente della Commissione, Cesare Cursi, ha detto di avere già eliminato altri 200 emendamenti.

Un bel taglio, ma non ancora sufficiente a garantire un iter del provvedimento senza eccessivi scossoni. Resta dunque molto probabile l’ennesimo ricorso alla fiducia da parte del governo. Mario Monti infatti era stato chiaro. «Solo modifiche minime», aveva detto da Washington.
Resta da capire quali. Al di là del numero, infatti, il pressing per arrivare alla riscrittura di alcuni punti continua a crescere. Tra le norme più contestate c’è lo scippo delle risorse degli enti locali da parte della tesoreria centrale dello Stato. Una misura che fornirà un po’ di ossigeno al Tesoro per la gestione del debito pubblico ma che lascerà a secco, in un colpo solo sia i comuni, che dovranno accettare i tassi di rendimenti offerti d’ufficio da Via XX Settembre, sia le banche, che dovranno rinunciare a circa 8,6 miliardi complessivi di denaro in un momento in cui la liquidità è un bene prezioso.
Sulla questione ci sono in commissione Industria almeno una decina di emendamenti, ma le proteste più vibranti sono quelle che arrivano dagli stessi sindaci, che minacciano boicottaggi contro il governo centrale in caso di conferma della norma. Tra i più agguerriti, manco a dirlo, ci sono i primi cittadini leghisti. Un drappello guidato dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, a cui hanno già dato il sostegno quello di Monza, Marco Mariani, e quello di Varese, Attilio Fontana. Al loro fianco è sceso in campo anche un battagliero Roberto Maroni, che ha definito senza mezzi termini il trasferimento delle casse dei comuni alla Tesoreria centrale una vera e propria «rapina» che merita «una risposta inequivocabile» anche con il ricorso alla «disobbedienza civile».

Per il resto, molti emendamenti piuttosto che ad annacquare, come tanti sostengono in questi giorni, mirano a rafforzare i numerosi punti deboli del decreto principalmente in materia di banche e assicurazioni, ma anche, in alcuni casi, su farmacie e benzinai.
Esempi di proposte virtuose, ma che difficilmente troveranno spazio visto che la questione è stata totalmente stralciata nel decreto, sono contenuti nel pacchetto di emendamenti (presentati da Idv, Pdl, Terzo Polo, ma non dal Pd) che riguardano i servizi postali. Nel dettaglio, si chiede al governo di separare il Bancoposta dalle Poste italiane (su cui c’era stata anche un’apertura da parte del ministro dello Sviluppo, Corrado Passera), ma anche, per favorire maggiore concorrenza, di ridurre la durata della concessione a 10 anni (dai 15) e il perimetro del servizio universale attraverso l’esclusione della posta massiva e dei pacchi fino a 10 kg e di abolire l’area di riserva (multe e atti giudiziari) a favore di Poste. Questioni, quest’ultime, da sempre invocate dal principale operatore privato nei servizi postali, Tnt Post, che da anni, malgrado la presunta liberalizzazione del settore, combatte ad armi impari contro il monopolista pubblico.

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