venerdì 17 febbraio 2012

Accordo sul segreto bancario. La Svizzera anticipa Monti

Sul tavolo ci sono più di 15 miliardi. Ieri, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, il governo svizzero ha rilanciato la possibilità di un concordato fiscale con l’Italia per tassare i capitali nascosti nelle banche elvetiche. La questione è vecchia, sebbene mai risolta. L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha sempre tenuto il dossier ben chiuso nel cassetto sostenendo che accordi bilaterali con il governo elvetico non solo violerebbero le normative comunitarie, ma sarebbero anche in contrasto con gli standard Ocse. Molto simili le motivazioni con cui il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, i primi di dicembre, ha categoricamente respinto la possibilità di un accordo con Berna.



Mentre Giarda smentiva, però, il presidente del Consiglio deve aver riletto la pratica con maggiore attenzione. Poco dopo, infatti, alla fine di dicembre, lo stesso Mario Monti ha ammesso che «l’accordo con la Svizzera è un’ipotesi che il governo sta analizzando». «Per parte mia», ha poi aggiunto, «non ho ancora completato l’approfondimento del dossier». Che l’intesa con Berna sia «da valutare» il premier lo ha ribadito pure l’8 gennaio. E il 9 anche il sottosegretario Antonio Catricalà ha spiegato che «se serve il concordato si farà». Il passo successivo, però, ancora non è arrivato.
La motivazione ufficiale è sempre la stessa: un accordo bilaterale rischierebbe di provocare l’apertura di una procedura di infrazione europea. In realtà, l’ipotesi è assai remota. Prova ne è che sia Francia sia Germania hanno già siglato i loro begli accordi per recuperare il gettito perduto e nessuno è intervenuto. Lo schema utilizzato da due Paesi si chiama Rubik. Nella sostanza si attribuisce alla Svizzera il ruolo di sostituto di imposta. I contribuenti stranieri dovranno accettare un’imposta su redditi e utili da capitali (le aliquote già utilizzate con Berlino e Londra vanno dal 26 al 30%) che la Svizzera provvederà poi a versare. La convenzione impone anche il versamento di un’imposta liberatoria una tantum per chiudere le vertenze fiscali pregresse. Come contropartita, le banche svizzere non dovranno rivelare l’identità dei loro clienti mantenendo intatto il segreto bancario.

Non solo, Berna vuole anche che l’Italia cancelli la Svizzera dalla black list dei paradisi fiscali e che ridisegni la convenzione per la tassazione dei lavoratori transfrontralieri, questione che sta molto a cuore alla Lega e sui cui la confederazione sta puntando i piedi da diverso tempo. I cosiddetti ristorni, la quota delle imposte pagate dai lavoratori italiani oltre confine che la Svizzera retrocede ai comuni di residenza, sono attualmente fissati al 38%. Percentuale considerata da Berna troppo alta, al punto che nel 2010 hanno rispedito in Italia solo il 50% delle somme (circa 20 milioni). Ma il professore tiene molto anche alla concertazione europea. Su questo fronte sta lavorando insieme al commissario Ue al fisco, Algirdas Semeta. L’accordo sarebbe che in cambio del via libera di Bruxelles Monti ottenga dalla Svizzera passi avanti sul rispetto della direttiva sulla tassazione del risparmio. In altre parole un allentamento del segreto bancario. L’apertura del governo elvetico sembra far capire che la trattativa sia ormai in fase avanzata. La speranza è che i nodi si sciolgano prima che in Italia scatti la tagliola dell’Iva. Secondo i calcoli effettuati da Renato Brunetta, stimando in 100 miliardi le attività finanziarie italiane in Svizzera, con una percentuale di di adesione al pagamento dell’80% e un’imposta del 20% il gettito per il Tesoro potrebbe aggirarsi sui 15-17 miliardi. Risorse che potrebbero compensare tranquillamente il mancato aumento dell’imposta indiretta previsto per ottobre.

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