giovedì 2 febbraio 2012

Bilanci dei partiti fuori controllo

Solo dal 1994 ad oggi dalle tasche dei contribuenti sono usciti 2 miliardi e 253 milioni di euro (a fronte di 468 milioni di spese dichiarate) per i rimborsi elettorali. Altre decine di centinaia di milioni sono arrivate attraverso le Fondazioni, i finanziamenti privati, i contributi ai giornali di partito, e così via. Malgrado i rilevanti giri di denaro, di cui la maggior parte pubblico, i partiti politici continuano a sfuggire a qualsiasi controllo contabile.

La loro importanza è certificata dall’articolo 49 della Costituzione, ma la loro natura giuridica, in assenza di qualsiasi regolamentazione legislativa, è pari, con tutto il rispetto, a quella di un circolo del tennis o alla bocciofila del centro anziani. Non sono soggetti pubblici, ma neanche srl o addirittura spa, che hanno l’obbligo di farsi certificare i propri bilanci da soggetti riconosciuti. Il risultato è che nessuno li può controllare, né la magistratura ordinaria, né quella contabile, né le authority che vigilano sul mercato. Ed ecco che di fronte a presunti trucchi contabili degli amministratori, l’unica sanzione, come è il caso di Luigi Lusi, scatta se il partito presenta una denuncia per appropriazione indebita. Scoprire gli ammanchi, però,è tutt’altro che semplice. Sulla carta, in base ad una legge del 1997 “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici” le associazioni politiche sono tenute al rispetto di una serie di criteri per la redazione dei bilanci. In realtà, le regole non sono altro che una serie di voci contabili che gli amministratori e i tesorieri devono riempire. Nello stato patrimoniale è previsto, ad esempio, che siano indicate le immobilizzazioni immateriali nette, i costi per le attività editoriali, gli impianti, le macchine, altri beni, le immobilizzazioni finanziarie, i crediti e via dicendo. 

La legge dispone anche che il bilancio sia predisposto attraverso l’indicazione degli attivi e dei passivi, dei proventi e degli oneri per la gestione caratteristica. Tutto, insomma, sembra fatto a regola d’arte. Il problema è che nessuno può permettersi di mettere in discussione le cifre. L’unica forma di controllo è quella effettuata da un collegio di cinque revisori nominati dalla presidenza della Camera il quale, però,nonpuò andare oltreunamera verifica formale del bilancio. In pratica, controlla se è ben compilato. Nell’ultima relazione disponibile, quella relativa al 2011, si legge testualmente che «il controllo non si è esteso alla verifica della corrispondenza dei fatti gestionali rilevati nei documenti con l’effettiva situazione fattuale». In realtà, secondo le testimonianze rilasciate da uno dei cinque tributaristi al giornalista Paolo Bracalini e riportate nel recente libro Partiti spa, i revisori non sanno neanche se il bilancio è stato oggetto di approvazione collegiale da parte degli organi del partito o se, più semplicemente, lo stesso amministratore che lo ha redatto se lo è poi firmato da solo. Stesso discorso per le Fondazioni spuntate come funghi negli ultimi anni. Facendo capo ad un singolo parlamentare non hanno alcun obbligo contabile in merito alle erogazioni ricevute. L’unica regola che i partiti devono rispettare riguarda la dichiarazione dei finanziamenti privati ricevuti. Soltanto, però, quando superano i 50mila euro. Al di sotto di quella cifra il denaro può circolare tranquillamente, senza alcun controllo.

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