mercoledì 17 febbraio 2021

Gli italiani in banca hanno più soldi del Pil

C’è una ricchezza che non smette di crescere, ma non è, purtroppo, quella del Paese. Anzi. Più sale una, più scende l’altra. Sentite questi dati: il Pil nel 2020 è scivolato dell’8,8%, in valori assoluti poco più di 150 miliardi. Nello stesso periodo gli italiani hanno stipato nei propri conti correnti ben 181 miliardi in più. Vi sembra paradossale? Non è finita. Eh sì, perché scorrendo il bollettino mensile diffuso ieri dall’Abi si scopre che il totale dei depositi di famiglie e imprese è arrivato a quota 1.744 miliardi. Una cifra che equivale al pil registrato dall’Italia nel 2019 e supera di gran lunga quello dello scorso anno.
Insomma, gli italiani hanno in banca una quantità di quattrini che supera quella creata in un anno dall’intero Paese. 

Un bene, un male? Dipende dal lato da cui si guarda. Da una parte il fatto che i frati siano ricchi malgrado il convento sia povero è la salvezza della nostra società. Le crisi economiche vissute dall’Italia negli ultimi decenni, a partire da quella del 2008, hanno aggredito in maniera così violenta i redditi che solo grazie al molto fieno in cascina le famiglie sono riuscite ad andare avanti, intaccando il proprio patrimonio. Del resto, anche la Costituzione riconosce il valore dei soldi sotto il materasso, sottolineando, all’articolo 47, che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme». Messa così, ci dovrebbe essere solo da rallegrarsi di quella percentuale di crescita dei depositi che a gennaio, secondo le rilevazioni dell’Abi, ha raggiunto la percentuale record dell’11,6%. Per avere un’idea, nello stesso mese dello scorso anno era al 5,5%. E in quello ancora prima del 2,7%.

Crollo dei consumi
D’altra parte, la forbice che separa quelle cifre è un pezzo di economia che resta in un cassetto invece di alimentare fatturati e guadagni. Sarà un caso, però la percentuale del calo dei consumi registrata a dicembre da Confcommercio è assai simile a quella del balzo della propensione al risparmio, -11,1%. Ma nel complesso del 2020 il crollo degli acquisti è ancora più marcato, con una flessione del 14,7% cumulata che si traduce in un -30,3% per i servizi e in un -7,9% per i beni. Con queste premesse, hanno fatto notare dall’Ufficio studi dell’associazione, il governo si può anche scordare i target di crescita messi nero su bianco nei documenti di finanza pubblica, che parlano di un pil per l’anno in corso in rialzo del 6%. In effetti, solo qualche giorno fa la Ue ha previsto un misero incremento del 3,4% nel 2021 e del 3,5 nei dodici mesi successivi. Stima forse anche ottimistica se si considera che il oltre il 70% del valore aggiunto in Italia arriva dai servizi. 
Per il governatore di Bankitalia la situazione italiana è il classico cane che non riesce a smettere di mordersi la coda. «Il risparmio delle famiglie, che costituisce la principale fonte di finanziamento per gli investimenti», ha detto di recente Ignazio Visco, «è stato storicamente un fattore di forza della nostra economia. Ma in una fase come quella attuale, dominata dall'incertezza e dalla debolezza della congiuntura, l'aumento della propensione al risparmio, se non si accompagna a un'adeguata ripresa degli investimenti e dell'attività produttiva, può causare una diminuzione della domanda aggregata e dei redditi, alimentando, a sua volta, una ulteriore crescita delle intenzioni di risparmio per motivi precauzionali e innescando, così, un circolo vizioso».

Garbo istituzionale
In sintesi, la sequenza è grosso modo cosi: più soldi in banca, meno acquisti, meno entrate, ancora più soldi in banca, ancora meno acquisti e ancora meno entrate. E così via fino alla catastrofe.
Il garbo istituzionale ha spinto il banchiere centrale a restare nel campo dell’analisi socio-economica, ma è evidente che a spingere gli italiani a non spendere un quattrino non sono state solo la pandemia e la crisi economica. Un bel contributo è arrivato anche dalla gestione dell’emergenza da parte del governo: le chiusure a capocchia, le difficoltà del sistema sanitario, la mancanza dei dispositivi di protezione, i dispacci apocalittici dell’ex premier Giuseppe Conte e degli espertoni del Cts, il caos sulla campagna vaccinale. Tutti fattori che hanno diffuso il panico nella popolazione, scatenando comportamenti da fine del mondo.
Sul fronte della fiducia si pensava che molto potesse fare Mario Draghi. Autorevole, serio, silenzioso, stimato. Passati pochi giorni, però, il ministro della Salute Roberto Speranza ha deciso di chiudere improvvisamente le piste da sci a poche ore dalla riapertura annunciata un mese fa, il suo consigliere Walter Ricciardi ha invocato per la ventesima volta in pochi mesi la necessità di un lockdown totale, gli esperti del Comitato tecnico scientifico non fanno che parlare delle terribili varianti del virus che faranno balzare in un attimo una curva dei contagi che ora oscilla placida verso il basso.
Se continua così, neanche i 209 miliardi del Recovery fund saranno sufficienti a provocare un cambio di rotta. Invece di tornare a spendere gli italiani con i loro risparmi raggiungeranno il pil della Germania e poi quello degli Stati Uniti. Finché finiranno pure i soldi da mettere da parte. E allora, non resterà che fare il conto alla rovescia.

© Libero