sabato 11 gennaio 2020

La lotta all'evasione si farà senza ispettori

È possibile combattere una guerra senza generali, senza ufficiali e con l’esercito in rivoltà? A Palazzo Chigi sembrano convinti di sì. Malgrado la lotta all’evasione fiscale, seppure ridimensionata rispetto agli obiettivi iniziali, sia uno dei tormentoni della manovra appena approvata e un pallino del nuovo esecutivo giallorosso, il governo di tutto si sta occupando tranne che della gestione dell’Agenzia delle entrate, che sta andando letteralmente a pezzi.

Partiamo dall’alto, ovvero dal direttore generale Antonino Maggiore (nominato appena 15 mesi fa) che, nel rispetto delle norme relative allo spoil system, il governo ha deciso di non confermare. Legittimo. Peccato che tra i mille dissensi interni alla maggioranza ci sia anche quello sul nome del successore. Matteo Renzi vorrebbe il ritorno sulla tolda di comando del suo Ernesto Maria Ruffini. Ipotesi che agli alleati entusiasma assai poco. Risultato, da dicembre l’Agenzia delle entrate, fulcro e cardine della grande operazione di contrasto ai furbetti del fisco annunciata da Palazzo Chigi, è guidata dal vicedirettore Aldo Polito. Poco male, direte voi, sempre di un capo di tratta. Peccato che a febbraio Polito se ne vada in pensione, lasciando la stanza dei bottoni completamente vuota. Senza contare che fanno capo a lui anche le Risorse umane e l’organizzazione del personale. Ma non è tutto.
A rischio rottura c’è pure la sotto struttura di comando, formata dai cosiddetti capo team, che si occupano di moltissime attività e servizi dedicati ai contribuenti, dalle istanze di rimborso, a quelle di autotutela per la correzione degli atti emessi dagli uffici. Ebbene, ben 3.500 capisquadra da gennaio potrebbero ritrovarsi con una busta paga assai più magra del solito. Il governo si è infatti dimenticato di inserire nella manovra le risorse necessarie a finanziarie gli emolumenti previsti per lo svolgimento dei compiti svolti.

La struttura è in difficoltà anche per la mancanza di dirigenti. Sembrava che la fine del 2019 potesse portare buone notizie sullo sblocco dei concorsi. A novembre era stata firmata una convenzione con il ministero dell’Economia che prevedeva le assunzioni nel 2020 per molte figure professionali di due distinti concorsi. Uno era quello riavviato a 175 posti, l’altra selezione è per 150 posti destinati ad attività operative di gestione, riscossione e contenzioso e per 10 destinati ai servizi catastali. L’Agenzia delle Entrate, però, ha spiegato in una nota che il diario e la sede d’esame per lo svolgimento della prova scritta per il concorso riservato a queste 160 posizioni saranno resi noti il 15 maggio. Dopo le prove scritte, i candidati ammessi dovranno sostenere gli orali. Risultato: nessuno entrerà in servizio, se tutto va bene, prima della fine del 2020. E per febbraio, come se non bastasse, è attesa anche una sentenza della Consulta che potrebbe decretare l’illegittimità delle nomine di 1.500 addetti.
Motivi sufficienti per far esplodere la rabbia dei sindacati, che hanno organizzato un blocco degli uffici dalle 10 alle 12 per il fisco day del 23 gennaio e una grande manifestazione di piazza per il 6 febbraio. «La carenza di personale», denunciano Fp Cgil, Cisl Fp, Uilpa, Confsal Unsa e Flp, «non permette ormai nemmeno più di coprire i servizi essenziali, figuriamoci fare la lotta all’evasione fiscale. La la politica non è stata capace di nominare né i direttori dell'Agenzia, di competenza governativa, né i comitati di gestione, la cui scelta spetta invece al solo ministro dell’Economia».

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