giovedì 9 gennaio 2020

Clini: "L'Ilva uccisa da toghe, politica e burocrazia"

Decreti, perizie, ordinanze, sentenze, sequestri, ricorsi, esposti, denunce, condanne, assoluzioni. È un groviglio di carte bollate e documenti protocollati mai visto quello che negli ultimi 8 anni si è abbattuto sull’Ilva, un corto circuito politico-giudiziario senza precedenti, un pantano burocratico che neanche Kafka avrebbe avuto l’ardire di immaginare. Alcuni di quegli atti li ha firmati Corrado Clini, che nel 2012 era titolare del ministero dell’Ambiente e, con una buona dose di ottimismo e, forse, un po’ di ingenuità, pensava di aver trovato il modo di risolvere la vicenda.
«Nel febbraio 2012», spiega a Libero, «la situazione era diventata complicata, la procura di Taranto, che aveva aperto un’inchiesta e messo sotto sequestro gli impianti, pur concedendo la facoltà d’uso, aveva contestato l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e stava disponendo una serie di perizie da cui emergevano criticità sul rispetto delle norme ambientali».

E lei cosa fece?
«Ripresi in mano l’Aia insieme ad un gruppo di tecnici, l’adeguai a criteri più stringenti che l’Unione europea aveva previsto dovessero scattare per tutti gli impianti siderurgici a partire dal 2020 e chiamai il prefetto Bruno Ferrante, a cui era stata affidata la gestione dell’azienda».

Risultato?
«Ferrante mi disse che la famiglia Riva, proprietaria degli impianti dal 1995, era disposta a fare tutti gli investimenti necessari, a ritirare tutti i ricorsi contro le decisioni della magistratura e a chiudere il piano di risanamento entro il 2015».

Era fatta...
«Già, peccato che pochi mesi dopo la procura di Taranto è tornata all’attacco, disponendo il sequestro dei prodotti finiti, che servivano ai Riva per pagare i fornitori, restare sul mercato e recuperare i fondi per il risanamento ambientale. A dicembre del 2012 il governo ha allora approvato un decreto per sbloccare per legge il sequestro, in base al principio europeo del risanamento in continuità produttiva».

E i pm?
«I magistrati contestarono il decreto, si appellarono alla Corte Costituzionale e non dissequestrarono i prodotti».

Era l’inizio della fine...
«Già, i Riva si trovarono nell’impossibilità di andare avanti e chiesero, sempre nel rispetto della legge, una rimodulazione degli impegni presi, considerato il cambiamento del contesto. Ma la frittata era fatta. Autorità amministrative locali e centrali chiesero il commissariamento, che fu disposto poco dopo dal nuovo governo guidato da Enrico Letta».

Strada obbligata?
«No, un errore madornale. Ha deresponsabilizzato la famiglia dal rispetto degli impegni, ha affidato il primo polo siderurgico d’Europa ad una gestione commissariale evidentemente impreparata a guidare un colosso del genere e, infine, ha spianato lo strada alla discesa in campo della procura di Milano, che indagava sull’ipotesi della bancarotta».

Inchiesta, quest’ultima, che si è rivelata un boomerang, visto che l’unico della famiglia che non ha patteggiato, Fabio Riva, è stato assolto e le motivazioni della sentenza, uscite martedì scorso, hanno di fatto demolito tutti gli impianti accusatori, sia quelli sul piano industriale sia quelli sul piano ambientale...
«La sentenza del gup di Milano è molto importante. Finalmente inizia ad uscire un brandello di verità».

Più di un brandello, la sentenza conferma in pieno la sua versione dei fatti...</CF>
«Sì, ma c’è poco da essere felici, visto che sono passati quasi 8 anni, sono stati persi, secondo lo Svimez, 23 miliardi di pil e il futuro dell’Ilva è ancora appeso ad un filo».

La lezione degli ultimi 8 anni non è servita?
«Evidentemente no. Siamo ancora in balia delle decisioni dei giudici, spesso in contrasto fra loro, e di fronte all’incapacità dei politici di prendere decisioni nette a favore di chi vuole investire e produrre».

Quindi dietro a quanto accaduto c’è un pregiudizio anti-industriale?
«C’è sicuramente una buona fetta della politica, delle istituzioni e della società ancora convinta che la trasformazione dei prodotti non si possa fare senza inquinare. E c’è chi da sempre ha tifato per la chiusura dell’Ilva. Ma questo non basta a spiegare l’incredibile convergenza di interventi che hanno messo in ginocchio l’Ilva e ci hanno portato a questa situazione».

Cos’altro c’è?
«Ci sono l’intreccio patologico tra magistratura e politica, il potere di interdizione delle autorità amministrative e delle istituzioni locali, le sabbie mobili della burocrazia, l’idea distorta di progresso tecnologico, il rifiuto di comprendere la compatibilità tra rispetto dell’ambiente e sviluppo industriale».

Pensa ci sia stato un progetto deliberato per affossare l’Ilva?</CF>
«Non voglio fare dietrologie. Ma di sicuro quello che è successo non incoraggerà certamente gli investitori stranieri a venire in Italia».

© Libero