Basta carta. Antica, obsoleta, inquinante, truffaldina. Il futuro viaggia sulle linee internet, sulle connessioni super veloci, sulla trasparenza digitale, sulla tracciabilità delle transazioni finanziarie, sulla lotta telematica all’evasione. Tutti si devono adeguare. Dalla grande azienda alla bottega artigiana, dal ristorante stellato al piccolo bar di paese, dall’hotel di lusso al rifugio sperduto di montagna. Dopo la fattura elettronica e lo scontrino elettronico per le imprese sopra i 400mila euro di fatturato, scattati entrambi lo scorso anno, dal primo gennaio nessuno è più escluso. Ogni transazione effettuata dai 2 milioni di esercizi italiani dovrà essere trasmessa in tempo reale all’Agenzia delle entrate. C’è tempo fino al 30 giugno per mettersi in regola senza conseguenze, dopodiché fioccheranno multe e sanzioni.
Certo, bisogna comprare un nuovo registratore di cassa (costo stimato tra i 500 e i 3mila euro), occorre avere una buona connessione internet (la copertura della banda larga in Italia è inferiore al 75%) ed è anche necessaria un po’ di dimestichezza con le nuove tecnologie (in Italia un quarto della popolazione ha più di 65 anni). Ma alla fine, assicurano dal governo, che dall’operazione punta a rastrellare 1,2 miliardi di gettito aggiuntivo, tutti saranno più felici e contenti.
Sicuri? Per i clienti cambia poco. Riceveranno come prima il loro bravo pezzetto di carta per gonfiare inutilmente tasche e portafogli. Per i piccoli imprenditori che faticano a restare a galla, invece, la riforma potrebbe rappresentare il colpo di grazia. Già, perché il futuro è bello, ma lo è un po’ meno in un Paese dove dal 2011 sono morti 32mila negozi e nel 2019 ne sono rimasti sul terreno 14 al giorno, dove ci vogliono 240 ore l’anno per gli adempimenti fiscali, dove la burocrazia costa alle Pmi ogni 12 mesi la bellezza di 36 miliardi, dove il total tax rate (la quota di tasse e contributi versata allo Stato) supera il 64% del fatturato. In un’Italia così, il futuro imposto per legge e non scelto da chi ha le gambe per reggerne il peso (senza contare che le multinazionali del web che operano nel nostro Paese, come ha rivelato la Cgia, hanno un total tax rate del 33%) può essere fatale.
Secondo il presidente dell’Ascom di Pordenone, Alberto Marchiori, «per le piccole botteghe e le attività che resistono in montagna o nei paesi si tratta di una complicazione inutile e un costo in più che proprio non ci volevano». A Sondrio sono con le mani nei capelli. «Per i 250 esercenti iscritti all’Unione commercio al dettaglio che faticano a sopravvivere», dice il presidente Davide Moltoni, «è un ulteriore impegno. E quando chiude un esercizio, per noi non ci sono ammortizzatori sociali». «Ve li immaginate i rifugi alpini?», gli fa eco Elisa Montani, presidente del Gruppo rifugi di Sondrio. Mentre per l’Unione nazionale delle comunità montane, «ai 200 comuni in Italia che sono già senza negozi e bar, altri da oggi se ne aggiungeranno». Vantaggi? «Per ora non ce ne sono», tuona il presidente di Confesercenti Padova, Nicola Rossi, «ma gli interventi di sicuro peseranno sulle tasche delle microimprese».
© Libero