mercoledì 8 gennaio 2020

L'Ilva non inquinava. Distrutta dai giudici

Mettetevi seduti. E tenetevi forte. Niente bancarotta fraudolenta dell’Ilva, niente omissioni sulle tutele ambientali, ingenti investimenti e corretta gestione imprenditoriale. Le motivazioni della sentenza con cui il gup di Milano Lidia Castellucci ha assolto lo scorso luglio Fabio Riva dall’accusa di bancarotta sono lunghe 127 pagine e così zeppe di illuminanti dettagli che meriterebbero di essere lette per intero, parola dopo parola.

Ma la sintesi è chiara. E sconvolgente. Dopo otto anni, 23 miliardi di Pil gettati nel cesso (calcolati, numeri alla mano, dallo Svimez), decine di decreti d’urgenza, sfilze di commissari, un numero imprecisato di inchieste giudiziarie e una situazione ancora drammatica da risolvere, con 20mila lavoratori appesi a un filo e altri miliardi di Pil pronti a finire nello stesso luogo se ArcelorMittal toglie le tende, scopriamo che la famiglia Riva non solo non era quella banda di delinquenti pronta ad arricchirsi sulla pelle dei cittadini che ci è stata dipinta per anni, ma stava facendo le cose per il verso giusto.
Sia sul piano imprenditoriale, oggetto specifico del processo a carico del figlio di Emilio Riva (nel frattempo deceduto), sia su quello ambientale, terreno da cui, con il sequestro degli impianti da parte della magistratura di Taranto nel 2012, sono di fatto scaturiti tutti i guai della famiglia che nel 1995 ha rilevato l’Ilva dallo Stato.

Sul primo fronte, scrive il giudice meneghino, non si «ravvisano quegli indici di fraudolenza necessari a dar corpo» alla «prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa», ma c’era anzi un «progetto di rilancio».

In vetta al mercato
Altro che arricchimento personale e depauperamento dell’impresa. La gestione dei Riva «aveva condotto la società a posizionarsi in vetta al mercato siderurgico europeo, e la enorme distanza temporale tra le condotte in contestazione (poste in essere nel ’95-’97) e lo squilibrio tra attività e passività, allocabile nel 2013, inducono a dubitare fortemente della effettiva messa in pericolo della garanzia dei creditori».
Occhio alle date, perché è tutto qui il trucco. I pm di Milano hanno addebitato ai Riva vicende e comportamenti che sono stati causati dall’intervento a gamba tesa delle toghe pugliesi e dall’amministrazione straordinaria disposta nel 2013 dal governo. Il fatto, spiega la Castellucci, che «il progetto di rilancio non si sia verificato per l’avvenuto commissariamento ambientale di Ilva non priva» di «validità economica la scelta operata» dai Riva.

Il grande imbroglio
Il giudice chiarisce che non è suo compito stabilire se all’epoca siano stati o meno commessi reati ambientali, anche perché se ne sta ancora occupando la procura di Taranto. Ma l’intreccio tra i due piani (e l’inganno utilizzato per azzoppare i Riva) è talmente evidente che il gup non può fare a meno di sottolineare che non si è verificata «una sistematica omissione delle tutele ambientali e sanitarie». Anzi, «appare francamente ardito sostenere che vi sia stato un risparmio dei costi e una mancanza di investimenti da parte di una società che a partire dal 1995 e fino al 2012 ha sostenuto costi in materia di ambiente ammontanti a oltre un miliardo» e «oltre tre miliardi per l’ammodernamento e la costruzione di nuovi impianti».
Insomma, dietro l’esproprio dell’Ilva, la confisca di circa 1 miliardo alla famiglia e la perdita di 23 miliardi di Pil c’è stato un grande imbroglio. Ed è agghiacciante pensare che tale imbroglio sia venuto alla luce solo perché Fabio, a differenza di suo fratello Nicola e dello zio Adriano (pure lui deceduto), ad un certo punto ha deciso di non patteggiare e di dimostrare la sua innocenza con il rito abbreviato. Quella lanciata dalla Castellucci è una bomba atomica che probabilmente non avrà grandi conseguenze. Nessuno, tranne gli italiani, pagherà per la sequela di errori che ha portato al disastro attuale. Ma vedere che alcuni giudici continuano a fare il bello e il cattivo tempo (ieri l’altoforno2 è miracolosamente tornato sicuro e utilizzabile) e che c’è ancora chi ha la faccia tosta di dire che lo scudo penale è un aspetto marginale nella trattativa con gli indiani fa ribollire il sangue.

© Libero