lunedì 17 luglio 2017

Stop del governo: "Per ora niente ius soli"

«Tenendo conto delle scadenze urgenti non rinviabili  al Senato e delle difficoltà emerse in alcuni settori della maggioranza, non ritengo ci siano le condizioni per approvare il ddl sulla cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia prima della pausa estiva». Alla fine l’annuncio è arrivato. Dopo settimane di polemiche e di tensioni, Paolo Gentiloni ha gettato ufficialmente la spugna, rinviando la patata bollente alla ripresa dei lavori. «Si tratta comunque di una legge giusta», ha tenuto a precisare il premier, ribadendo «l’impegno personale e del governo per approvarla in autunno».

Al di là dei festeggiamenti di Forza Italia e Lega, che si intestano la vittoria e assicurano che la legge non passerà mai, e della soddisfazione di Ap, che apprezza il realismo e il buon senso di Gentiloni e promette un voto favorevole a settembre, il rinvio del contestato provvedimento crea non poche turbolenze a sinistra. Il vicesegretario del Pd, Maurizio Martina, si è affrettato ad offrire l’appoggio al premier: «La legge per la nuova cittadinanza rimane per noi un obiettivo importante. Però come sempre siamo al fianco del presidente Gentiloni». Una frase che richiama i retroscena di questi giorni, che descrivevano un Matteo Renzi disposto ad arrivare fino alla crisi di governo sullo ius soli, a meno che il governo autonomamente non si attribuisse tutta la colpa dello slittamento e facesse da parafulmine alle inevitabili polemiche. I malumori non si sono fatti attendere. «Il Pd e il governo si arrendono al ricatto dei centristi», tuona Loredana De Petris, capogruppo al Senato di Sinistra Italiana. Mentre per il coordinatore di Mdp, Roberto Speranza, «ogni arretramento o rinvio è un errore, soprattutto in questo momento. Nessun cedimento culturale alla propaganda della destra».
Intanto, per attenuare la pressione dei migranti in Italia il governo sta studiando la possibilità di rilasciare 200mila visti temporanei. L’idea è circolata sul Times. Il quotidiano britannico, dopo un colloquio con il vice ministro degli Esteri Mario Giro e il senatore Luigi Manconi annunciava il piano come «l’opzione nucleare» di Roma.

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