giovedì 13 luglio 2017

Non salvano le banche, ma i ladri

Di punire i colpevoli non se ne parla. Non solo i contribuenti dovranno sborsare altri 17 miliardi di euro per salvare le banche decotte, ma neanche potranno prendersela con gli ex amministratori che hanno portato gli istituti al fallimento. Con il decreto su cui ieri è stata votata la fiducia alla Camera, la maggioranza, oltre a rendere impossibili eventuali imputazioni di bancarotta, ha anche evitato che, ove considerati responsabili di fronte alla giustizia, gli ex manager subissero l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dall’esercizio delle professioni.

Il primo salvacondotto, che non fu concesso neanche agli ex amministratori di Etrtria & C, è il frutto della particolare procedura di liquidazione coatta adottata con il provvedimento, che rende praticamente impossibile al tribunale fallimentare, come è invece avvenuto per la banca senese nel febbraio 2016, una dichiarazione di insolvenza. Circostanza che aprirebbe la strada ai magistrati per contestare un eventuale reato di bancarotta fraudolenta. Gli ex soci di Pop Vicenza e Veneto Banca, a dire il vero, non hanno ancora rinunciato all’ipotesi, Già infuriati per la sospensione delle cause civili di risarcimento, provocata sempre dal decreto, i risparmiatori danneggiati dal crac delle due banche continuano ad inondare gli uffici giudiziari di denunce ed esposti, ma gli stessi legali che si stanno occupando della vicenda ammettono che la strada è irta. La questione non è di poco conto, perché in questo modo le procure che stanno indagando sulle responsabilità di ex amministratori ed ex dirigenti possono procedere solo per truffa ed estorsione in riferimento alla vendita di azioni e obbligazioni alla clientela. Ipotesi di reato che non solo prevedono pene più lievi, ma hanno anche tempi di prescrizione assai più brevi, permettendo così agli indagati di puntare sulla decadenza dell’illecito.

Ma non è tutto. Per non turbare i responsabili dei dissesti bancari il governo si è anche rifiutato di apportare al testo, come chiedeva ( su suggerimento di Pier Luigi Bersani) il relatore in commissione Finanze, Giovanni Sanga (Pd), alcune modifiche che non avrebbero assolutamente inficiato l’accordo con Intesa Sanpaolo, ma avrebbero potuto offrire maggiori garanzie ai risparmiatori traditi, allargando la platea degli obbligazionisti rimborsati, e sanzioni più severe per gli ex vertici delle banche. In questo caso, dettaglio non da poco, la norma avrebbe coinvolto i vecchi manager di tutti gli istituti messi in liquidazione, compreso dunque Pier Luigi Boschi, papà dell’ex ministro, che fu vicepresidente di Banca Etruria dal maggio 2014 al febbraio 2015.
L’emendamento proposto da Sanga si limitava a prevedere che, in seguito all’accoglimento da parte del giudice di una azione di responsabilità da parte commissari liquidatori, gli ex amministratori sarebbero stati condannati anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dall’esercizio delle professioni, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese nonché all’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Alla fine, però, malgrado le minacce dei fuorisciti piddini di Mdp e l’ostruzionismo del M5S, il governo è riuscito ad a far passare il suo testo blindato, con l’unica modifica, approvata la scorsa settimana, relativa all’inserimento nel decreto del dl bond, che sospende per sei mesi il rimborso delle obbligazioni delle banche che hanno chiesto una ricapitalizzazione precauzionale come Veneto Banca ed Mps. La fiducia sul provvedimento che stanzia 4,785 miliardi in termini di anticipo di cassa e 400 milioni di garanzie (a copertura di impegni per un importo massimo di 12 miliardi) è passata con 318 sì, 178 no e un solo astenuto.
Resta ora da vedere se il governo avrà vita facile pure al Senato, dove la maggioranza è più risicata ma i passi falsi non sono ammessi, soprattutto considerata la scadenza del decreto il 24 agosto.

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