sabato 29 luglio 2017

Pagheremo i fannulloni dell'Atac

Seppellita dai debiti e impantanata nella palude delle consorterie politico-sindacali, l’Atac perde un altro dg a circa 11 mesi dall’addio burrascoso di Mario Rettighieri (e dell’amministratore unico Armando Brandolese), aprendo scenari foschi che non escludono il salvataggio pubblico a carico dei contribuenti. Per ora l’unica certezza è che dal 2 agosto Bruno Rota non sarà più alla guida dell’azienda di trasporto pubblico locale della Capitale.

Il divorzio tra il manager giunto dall’Atm su indicazione della Casaleggio Associati e la giunta pentastellata di Roma si è consumato ufficialmente ieri pomeriggio con un caotico e poco istituzionale cumulo di accuse e controaccuse su chi sia stato il primo a sbattere la porta. Un polverone durato finché la circolazione della lettera con cui l’ad dell’azienda pubblica di trasporti, Manuel Fantasia, ha accettato le dimissioni e tolto le deleghe al manager non ha confermato la versione di Rota. E cioè che l’intenzione di lasciare era già stata manifestata nero su bianco, e protocollata negli atti dell’azienda, il 21 luglio scorso. Ben prima delle due interviste in cui il manager chiedeva un intervento immediato di Virginia Raggi per evitare il fallimento e ben prima di quanto dichiarato da Fantasia, che dice di aver ricevuto la lettera solo giovedi.

Al di là delle feroci polemiche tra i due vertici dell’Atac, e del furibondo battibecco politico che ne è seguito, con il Pd a testa bassa contro il Movimento 5 Stelle, resta ora da capire quali saranno le conseguenze dell’ennesimo scivolone della giunta grillina. Dal Campidoglio hanno fatto immediatamente trapelare la notizia che il nuovo dg sarebbe già stato individuato. In pole ci sarebbero Carlo Tosti, già ad di Atac sotto Alemanno, Giancarlo Schisano, ex direttore operativo di Alitalia, o anche Carlo Pino, ex dg dell’azienda di Trasporti di Napoli. Ma i tempi sono strettissimi. E le alternative assai limitate. Se le informazioni divulgate da Rota fossero confermate, e cioè che si tira avanti solo grazie ad un anticipo del contratto di servizio con il Comune relativo al secondo semestre, l’amministrazione potrebbe non essere in grado  di pagare gli stipendi già da settembre. Mentre il blocco dei pezzi di ricambio da parte dei fornitori, che vantano un credito commerciale di circa 325 milioni sugli oltre 1,3 miliardi totali, farebbe salire ulteriormente la percentuale già ingestibile del 36% di mezzi che quotidianamente non possono circolare.

La via indicata da Rota per salvare il salvabile era quella del concordato preventivo. L’azienda viene commissariata, i creditori divisi in categorie e risarciti solo parzialmente, il debito ristrutturato anche con la vendita del patrimonio immobiliare. Lo schema è lo stesso utilizzato dal sindaco grillino di Livorno, Filippo Nogarin, per l’Aamps, la società di gestione dei rifiuti. Ma anche dalle Fs per salvare le Ferrovie del Sud Est (Fse), acquisite lo scorso ed ora appena entrate nella procedura. L’ad Renato Mazzoncini non ha mai nascosto il suo interesse per il trasporto pubblico locale, pur chiarendo di voler partecipare alle gare per il servizio e non al salvataggio delle aziende decotte che lo gestiscono. In questo caso, però, in ballo ci sono 12mila dipendenti. E lo stesso governo potrebbe voler evitare un clamoroso fallimento dell’azienda. Il problema è che le Ferrovie del Sud Est hanno 268 milioni di debito, l’Atac 1,3 miliardi. Il che significa che le Fs, cioè i contribuenti italiani in attesa che l’azienda sbarchi sul mercato, dovranno farsi carico di un investimento molto più pesante dei 150 milioni previsti per le Fse da qui al 2021.

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