mercoledì 24 maggio 2017

Tasse sui giochi: a rischio 5mila imprese e 300mila lavoratori

Più tasse, meno apparecchi. Alla fine, quando il governo decide di intervenire sui giochi sempre lì va a parare. Sull’unico settore caratterizzato da una filiera di 5mila piccole e medie imprese, con un indotto occupazionale di circa 300mila lavoratori e 85mila esercizi coinvolti. Dopo l’incremento del prelievo erariale, che ha portato la tassazione reale dal 61 al 66% (rispetto al 20% dei giochi on line e di quelli sportivi), le Awp, le slot dove si può giocare al massimo un euro, il governo vuole inserire nella manovrina pure la sforbiciata degli apparecchi. «Siamo in perfetta sintonia con la riduzione», spiega Raffaele Curcio, presidente di Sapar, l’associazione che riunisce 1.700 imprese, «anche per noi c’è una sovraesposizione. Il problema è il metodo con cui si fanno questi tagli. Se l’obiettivo è la tutela delle persone e il contrasto alle patologie, la riduzione deve riguardare tutte le tipologie di gioco. È assurdo andare ad incidere su un’unica categoria».

Categoria che, peraltro, con il piano messo a punto dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, sarà sottoposta ad una triplice pressione. Quella fiscale, attuata con l’incremento del prelievo unico erariale, quella quantitativa, con la diminuizione degli apparecchi di gioco, e quella operativa, con la riduzione degli orari applicata nelle principali città italiane.
Perché colpire solo le slot? Lo stesso Baretta ha ammesso qualche giorno fa che «il gioco online è quello che preoccupa di più», ma è un fronte rispetto al quale «il governo è debole». A rendere difficile aggredire i giochi da remoto c’è sicuramente l’offensiva dei siti stranieri illegali. «Capisco che se si tassa e regolamenta di più l’online pubblico si rende più allettante il gioco illecito, che elude qualsiasi controllo e può avere quote più alte. Ma lo stesso discorso si deve rapportare al gioco fisico. Se continuo a tassare e soffocare le imprese che operano nella legalità, non facciamo altro che spostare l’offerta sul fronte dell’illegalità». Concetto ribadito dal presidente di Astro, Massimiliano Pucci, secondo cui in questo modo l’unico risultato sarà quello di «far chiudere le aziende, lasciando maggiore spazio all’illegalità». Perché, si chiede Pucci, «il governo non ha piuttosto introdotto regole ferre sulla pubblicità, che dilaga ovunque?»
La verità, conclude Curcio, è che «noi siamo nel mirino perché abbiamo gli apparecchi bene in vista, il che li rende un bersaglio facile sia sotto il profilo fiscale e regolatorio, sia sotto quello mediatico».

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