giovedì 11 maggio 2017

Nuove regole per il divorzio. SI paga il minimo necessario

Dopo tre anni passati alla Ragioneria dello Stato, sei alla direzione generale del Tesoro e due da viceministro e ministro dell’Economia non si può davvero dire che Vittorio Grilli non abbia imparato a far di conto. Sulla gestione delle finanze pubbliche c’è ancora chi ha più di un dubbio, ma su quelle private è difficile obiettare. Pur di non sganciare quattrini alla ex moglie Lysa Caryl Lowenstein, il titolare di Via XX Settembre sotto il governo Monti ha ingaggiato una battaglia legale durata circa 9 anni. E ieri, dopo appelli e contrappelli, ha incassato una vittoria epocale, che potrebbe rivoluzionare il diritto italiano. Il principio stabilito dalla sentenza 11504 della prima sezione civile della Cassazione prevede, in estrema sintesi, che il tenore di vita goduto nel corso del matrimonio non sarà più determinante per quantificare l’assegno divorzile.

La decisione dei supremi giudici, che qualcuno ha già definito un terremoto giurisprudenziale, spazza via un principio sancito fin dal 1970 con la legge 898 che ha introdotto il divorzio. Sposarsi, scrive la Corte, «è un atto di libertà e autoresponsabilità», non una «sistemazione definitiva». E quando ci si lascia il rapporto matrimoniale «non si estingue solo sul piano personale, ma anche economico patrimoniale». La realtà, proseguono i magistrati, è che «la formazione di una famiglia è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale». Assodato che il tenore di vita non può essere un criterio, la Cassazione individua nel «raggiungimento dell’indipendenza economica» di chi chiede l’assegno l’unico parametro valido per la concessione del beneficio. E la valutazione deve essere fatta sull’adeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e sulla possibilità «per ragioni oggettive» di procurarseli. E qui si torna alla Lowenstein, la quale non ha «assolto l’onere di provare la sua non indipendenza economica».

Il riferimento è alla sentenza della Corte d’Appello di Milano, che nel 2014 ha ritenuto incompleta la documentazione reddituale e valutato che l’ex marito, dopo la fine del matrimonio, aveva subìto una contrazione delle entrate. Il duello Grilli-Lowenstein era iniziato nel 2008, quando ci fu la prima sentenza. Anche in quel caso l’assegno non fu concesso. A convincere i giudici, tra le altre cose, fu anche una scrittura privata in cui i due coniugi avevano pattuito preventivamente che in caso di divorzio, la pratica si sarebbe chiusa con 500mila euro. In realtà, come ha spiegato l’avvocato di Grilli, Ida Favero, nel 2013, quando il Sole 24 Ore avanzò dei dubbi sulla regolarità dei pagamenti effettuati per la ristrutturazione di un appartamento, l’ex ministro ha versato 1 milione di euro in un primo momento, per coprire dei debiti della ex moglie, 250mila euro al momento della sottoscrizione della separazione consensuale e 250mila euro la mattina del 14 ottobre 2008, giorno della separazione. In tutto 1,5 milioni. Una bella cifra rispetto agli assegni mensili di circa 500 euro che pagano i comuni mortali, ma nulla in confronto alle somme principesche strappate da alcuni mogli, che ora staranno tremando, ai loro mariti vip. Il caso più eclatante è, ovviamente quello di Veronica Lario, che dal divorzio del 2014 con Silvio Berlusconi ha ottenuto un assegno mensile di 1,4 milioni, anche se la battaglia legale è ancora in corso. Nessun vitalizio, ma una buonuscita secca di circa 100 milioni di euro è quanto ottenuto da Adua Veroni, ex moglie di Luciano Pavarotti. Mentre Rita Rusic dopo il divorzio con Vittorio Cecchi Gori si è dovuta accontentare di 70 milioni di lire al mese. Ancora più basso, infine, l’assegno di Katia Ricciarelli, a cui l’ex marito ogni mese versa «solo» 12mila euro.

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