Riforma del catasto e reintroduzione dell’Imu sulla prima casa per i redditi più alti. Se il governo si metterà al lavoro sulla nuova stangata, Bruxelles chiuderà un occhio sul mancato rispetto degli impegni previsti dal fiscal compact. È questa la «proposta indecente messa sul piatto dalla Commissione Ue nel pacchetto di raccomandazioni presentato ieri.
Uno scambio che parte dalla concessione temporanea della promozione. «In Italia sono state adottate le ulteriori misure di bilancio richieste per il 2017», si legge nel documento, «pertanto in questa fase non sono ritenuti necessari interventi supplementari per garantire la conformità con il criterio del debito». Niente sanzioni e niente diktat, dunque. Ma solo per qualche mese. Ad ottobre, infatti, la Commissione farà di nuovo il punto, valutando gli sforzi che il governo inserirà nella legge di bilancio 2018. La Ue, ha spiegato il commissario agli affari economici Pierre Moscovici, «rivaluterà il rispetto dell’Italia del criterio del debito nell’autunno 2017, sulla base dei dati notificati e delle previsioni economiche di autunno, che includeranno le nuove informazioni sull’attuazione delle misure nel 2017 e i piani per il bilancio 2018».
Per indorare la pillola Bruxelles ha anche prospettato la possibilità di un target di aggiustamento variabile. Rispetto ad una correzione strutturale del deficit dello 0,6% del pil, finora circolato come limite invalicabile, la Commissione ha anticipato che, utilizzando i «margini di discrezionalità», ci potrà essere una riduzione della percentuale. Bassa inflazione, poca domanda, ripresa lenta. Tutto concorrerà alla quantificazione degli sforzi. Perché l’Italia deve trovare «la giusta posizione di bilancio che rafforzi la crescita assicurando la sostenibilità dei conti».
Detto questo, la correzione sul 2018, considerato anche la mannaia dei 15 miliardi di Iva aggiuntivi previsti dalla clausola di salvaguardia disinnescata solo parzialmente dalla manovrina, sarà comunque sostanziosa. E il governo potrà sfuggire alla procedura d’infrazione solo a condizione che il percorso seguito per il rientro nei parametri sia quello indicato dalla Commissione. E cioè attraverso «una implementazione piena delle riforme». Accanto ai i vari tormentoni su cui Bruxelles batte da diversi anni, dallo snellimento della giustizia civile, all’ammodernamento della Pa fino alla guerra al contante, le raccomandazioni tornano a sottolineare la necessità di «spostare il carico fiscale dai fattori produttivi a tasse meno dannose per la crescita». Il che significa non solo aumentare l’Iva, punto su cui la Ue spinge da tempo, ma anche rivedere la fiscalità immobiliare.
Roma, scrive la Commissione nel dettaglio, deve effettuare «un sostanziale sforzo fiscale per il 2018» che preveda «un’azione decisiva» per «riformare il sistema catastale obsoleto e reintrodurre la tassa sulla prima casa per le famiglie ad alto reddito». Il ministro dell’Economia, probabilmente istruito da Matteo Renzi, che vuole evitare qualsiasi intoppo pre elettorale, ha subito puntato i piedi. L’Imu sulla prima casa, ha spiegato Pier Carlo Padoan, è «una delle tante proposte, ma le riforme fiscali vanno viste nel loro insieme e io direi che cambiare idea su una tassa che è stata appena cambiata da pochi mesi non è una buona idea».
Ma la bomba gettata da Bruxelles è troppo grande per potersi accontentare delle rassicurazioni di Padoan. Lo stesso ministro, del resto, ha tolto solo all’ultimo momento dal Def la riforma del catasto. E la stessa è poi rispuntata, sotto forma di proposta di legge, in un ddl bipartisan ora al vaglio del Senato. Quanto all’Imu, il terreno è insidioso. Dopo cinque anni in cui la tassazione sulla casa è passata da 9,2 a circa 24 miliardi, solo dallo scorso anno il peso dei tributi è iniziato a scendere di nuovo con l’abolizione dei circa 3,7 miliardi di Tasi sulla prima casa. La Commissione ora dice che bisogna ripristinare il balzello (che già si paga per le case di pregio) per i redditi più alti. Ma i proprietari di casa con entrate superiori a 55mila euro rappresentano solo il 6% del totale. E’ dunque facile immaginare che quei nababbi di cui parla la Ue siano le solite fasce medie che già ora si caricano oltre il 30% dell’Imu.
Sul fronte fiscale è passato ieri in commissione Bilancio l’emendamento alla manovrina che introduce una prima forma di web tax (gettito potenziale 5 miliardi), ma con condono annesso. La norma presentata dal presidente della Commissione Bilancio, Francesco Boccia, prevede che le multinazionali con ricavi oltre 1 miliardo di euro, attive in Italia con almeno 50 milioni di fatturato, potranno «avvalersi della procedura di cooperazione rafforzata». Di fatto, svela l’ex ministro dell’Economia, Enrico Zanetti, è «una gioiosa voluntary disclosure» che consentirà di «estinguere i debiti tributari versando le somme dovute e pagando la metà delle sanzioni». Chi emerge volontariamente, infatti, beneficia sugli anni pregressi della esclusione del penale e del dimezzamento delle sanzioni pecuniarie». Il gettito della “norma transitoria”, che temporeggia sulla vera web tax, andrà al Fondo autosufficienza e a quello per la riduzione del debito. Sì anche ai rimborsi Iva più celeri (dal 2018), da 90 a 65 giorni, mentre resta lo split payment per i professionisti. Tra le proposte da votare c’è quella di Fratelli d’Italia per «fermare il business dell’accoglienza». Giorgia Meloni chiede che per «un richiedente asilo lo Stato non spenda più di un pensionato sociale (480 euro)».
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