mercoledì 3 maggio 2017

Meno utili, più disoccupati: primo maggio funerale del lavoro

Ventotto miliardi di fatturato, 11 miliardi di margine operativo, 7,5 miliardi di utili e 11,5 miliardi di dividendi bruciati dal 2008 ad oggi. Sarà pure vero, come sostengono alcuni osservatori, che gli indicatori economici danno segnali di miglioramento, che le prospettive sono meno cupe. Ma allargando lo sguardo all’intero periodo della crisi il bilancio delle imprese italiane resta catastrofico. Secondo l’analisi elaborata dal Centro studi di Mediobanca la scorsa estate su un campione di 2.060 medie e grandi imprese (circa il 50% del fatturato delle aziende italiane) il fatturato netto è passato dai 667 miliardi del 2008 ai 639 del 2015. E meglio non sono andati gli altri indicatori del conto economico, con il margine operativo lordo sceso da 73,5 a 62 miliardi e gli utili precipitati da 26,5 a 19 miliardi. Una discesa che si è ovviamente ripercossa sui dividendi, crollati da 25 a 13,5 miliardi.

Anche volendo circoscrivere il campo di analisi, la sostanza cambia poco. Nel solo 2016, ad esempio le grandi aziende italiane hanno perso 260 miliardi di valore, di cui 126 bruciati a Piazza Affari. Il totale delle azioni delle spa del nostro Paese, secondo un recente studio di Unimpresa, è passato dai 2.077 miliardi euro a 1.818 miliardi, con un calo del 12%. Più marcata la flessione in Borsa, dove i titoli delle spa quotate hanno perso il 23% della capitalizzazione, passando da 545 a 419 miliardi.
Segnali non migliori arrivano dall’intero tessuto produttivo, che nel 2016 ha visto di nuovo rallentare la crescita complessiva del numero di imprese. Lo scorso anno, secondo la periodica indagine Movimprese, realizzata da Unioncamere e Infocamere, si è chiuso con un saldo positivo di 41mila imprese (6.073.763 il totale delle aziende registrate a dicembre)., con un incremento dello 0,68% rispetto al 2015, dove la crescita era stata invece dello 0,75%. A frenare il trend positivo che andava avanti, seppure a piccoli passi, dal 2014 (+0,51%), sono stati principalmente il settore delle costruzioni (-4.733 attività) e la manifattura, che ha perso complessivamente 3.338 imprese.
La scarsa vitalità delle imprese continua a comprimere i livelli occupazionali. Malgrado l’ottimismo del premier Paolo Gentiloni, che ha definito i dati «incoraggianti», i numeri snocciolqati ieri dall’Istat dimostrano che la situazione è ancora critica. L’occupazione resta stabile rispetto a febbraio e addirittura aumento rispetto a marzo 2016, ma il tasso di disoccupazione torna invece a crescere all’11,7% (11,6% a febbraio). Con un picco per gli over 50, che sono aumentati di 59mila unità e hanno superato quota 567mila, sorpassando gli under 25. Un dato, quest’ultimo, che il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti e soprattutto l’ex premier Matteo Renzi hanno voluto leggere in positivo, sottolineando che dopo «tante polemiche i dati dicono che la disoccupazione giovanile scende dal 34 al 44% del 2014».

Ma anche in questo caso, lo sguardo d’insieme è drammatico. Come segnala Unimpresa, dal 2015 al 2016 oltre 105mila persone sono entrate nel bacino della povertà, che ora conta 9 milioni e 347mila persone. Un’area di disagio, secondo l’ufficio studi dell’associazione, di cui fanno parte i 3 milioni di disoccupati a cui si aggiunge l’esercito di 3,27 milioni di precari. «Gli interventi dei governi che si sono passati il testimone in questi anni non sono evidentemente bastati a ridare slancio al mercato del lavoro», commenta il vicepresidente di Unimpresa, Maria Concetta Cammarata, «facciamo i conti, e i numeri non mentono, con una situazione drammatica che è destinata a peggiorare».
L’incertezza sui prossimi mesi, del resto, è certificata anche da Confindustria, che pur vedendo qualche segnale  di miglioramento, rimane ancora molto scettica sul futuro. «L’economia italiana», si legge nell’ultima congiuntura flash del Centro studi di Viale dell’Astronomia, «rimane sul percorso di lento e altalenante recupero intrapreso all’inizio del 2015». Ma se «gli indicatori qualitativi sono migliorati e suggeriscono che sia in atto un’accelerazione», le statistiche «quantitative non confortano questa prospettiva, anzi, la debolezza della produzione industriale ha rallentato il pil nel primo trimestre del 2017».
Un dato su tutti dà l’idea della mancata ripartenza: «Solo il 28,8% dei comparti industriali ha avuto un incremento della produzione nei primi due mesi dell’anno, in calo dal 36,2% a fine 2016».

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