Reddito minimo per gli over 55 e flessibilità in uscita finanziati, in parte, con tagli alle prestazioni sociali per gli over 65 e decurtazioni delle pensioni più alte. È questa «l’equità» di Tito Boeri, condensata in una proposta di legge in 16 articoli consegnata lo scorso giugno a Palazzo Chigi e ieri, dopo una serie di indiscrezioni, polemiche e anticipazioni parziali dello stesso presidente dell’Inps, resa finalmente pubblica.
La sintesi del documento che si legge nella nota di accompagnamento non fa una grinza. Il pacchetto di misure «abbatte del 50% la poverta fra chi ha più di 55 anni»; «aumenta la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale e lo rende più equo»; «aumenta la libertà di scelta»; «rimuove le penalizzazioni». L’elenco è lungo e scoppiettante. Ma alla fine, chi paga?
Una parte sarà a carico della fiscalità generale. La riforma, ammette Boeri, pur «non mettendo a rischio la tenuta dei conti pubblici» ha un contenuto «espansivo». In termini concreti, il saldo tra risparmi e maggiori spese fa 662 milioni di minor gettito nel 2016, 1,6 miliardi nel 2017, 3,2 nel 2018, 3,8 nel 2019 e così via fino ai 2,3 miliardi nel 2025.
Quello che non arriverà dalle tasse arriverà sostanzialmente dagli anziani. La prima riduzione proposta dal presidente dell’Inps riguarda infatti le prestazioni sociali per gli ultrassessantacinquenni, vale a dire tutti gli assegni sociali e le integrazioni al trattamento minimo. L’idea è quella di tagliare progressivamente gli aiuti a partire da un reddito disponibile equivalente (che sarebbe l’Ise-Reddito prima di qualunque deduzione e detrazione previste dalla normativa, ma senza considerare le prestazioni oggetto di riordino) di 32mila euro lordi annui per arrivare all’azzeramento ai 37mila euro. Così la misura riguarderebbe 230mila famiglie, ovvero 560mila persone. Se però la «rimodulazione» non sarà sufficiente scatterà una bella clausola di salvaguardia, per recuperare 1,2 miliardi. A questo punto la soglia verrà abbassata a 21mila euro lordi annui e l’azzeramento si avrà a 33mila euro. La platea si allarga così a 2 milioni di persone.
I risparmi saranno destinati a finanziare il famoso reddito minimo. Una sorta di stipendio garantito di 500 euro per gli ultracinquantacinquenni che rispettino alcuni requisiti di «povertà», tra cui quello di non avere una casa del valore catastale, ai fini Imu, superiore ai 150mila euro. I soldi, vincolati ad una sorta di patto finalizzato all’inserimento lavorativo, andranno pure, in misura minore ai parenti disoccupati del nucleo familiare. La platea interessata è di 310mila famiglie, ovvero 567mila persone.
L’altra grossa voce di entrata riguarda le cosiddette pensioni d’oro e i vitalizi dei politici. Qui la proposta prevede la «cristalizzazione» (il blocco della perequazione) per tutti gli assegni da 3.500 euro lordi mensili (sette volte la minima, 2.300 euro netti al mese) fino a 5mila euro (10 volte). Per quelle superiori ci sarà un taglio vero e proprio che verrà effettuato attraverso una correzione attuariale sulle quote retributive. In soldoni ci sarà una sforbiciata degli assegni che va dallo 0,2% all’anno per le pensioni più basse fino al 14% all’anno per quelle più alte. Ma si tratta di medie. In realtà il taglio in alcuni casi può anche sfiorare il 20%. Ad essere colpiti, secondo i calcoli, sarebbero 326mila pensioni, che fanno capo a 250mila persone. Stesso metodo per i vitalizi, il cui ricalcolo comporterà, però riduzioni fino al 53%, con una media del 33,9%. La platea interessata è formata da 2.470 parlamentari e 1.650 consiglieri regionali.
La sforbiciata andrà a coprire in parte le spese per la flessibilità in uscita. Anche qui il taglio avviene sulle quote retributive. Boeri indica decurtazione intorno al 10-11% con uscite a 63 anni e sette mesi da adeguare con gli incrementi dell’aspettativa di vita. Il pacchetto prevede poi l’abolizione di alcuni privilegi per i sindacalisti e alcuni ritocchi alle pensioni dei residenti all’estero.
Resta da capire perché Boeri abbia diffuso solo ora le sue ricette. Da Palazzo Chigi fanno sapere che la mossa era concordata. Ma contemporaneamene trapela anche una sostanziale bocciatura dell’impianto. Lo stesso Renzi ha fatto notare che alcune proposte avevano «un valore di equità», ma ora «tagliare le pensioni sarebbe un errore». Più netta la posizione del ministero del Lavoro, dove si sostiene che le misure «avrebbero costi sociali non indifferenti e non equi».
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