Settantadue miliardi di tagli cumulati tra il 2016 e il 2019 alla sanità, 31 in valore assoluto, 10 miliardi di tagli alla spesa corrente solo sul 2016. Sono solo alcuni dei numeri snocciolati ieri dalle Regioni, che per ora hanno deciso di sospendere il parere sulla legge di stabilità. Un’approccio «serio» lo definisce il governatore della Liguria, Giovanni Toti, in attesa di «finire l’istruttoria per andare a un giudizio più compiuto». Anche il presidente della Conferenza Stato-Regioni, Sergio Chiamparino, parla di una decisione «coerente» con la costituzione dei tavoli di lavoro, assicurando che il clima è sereno.
Ma la sensazione è che l’aria sia tutt’altro che tranquilla. Intanto c’è la questione del decreto salva Regioni, che dovrebbe essere oggi sul tavolo del Cdm. Secondo Chiamparino il provvedimento «non distribuisce soldi né prevede la possibilità di spalmare i debiti». Ma per il governatore della Puglia, Michele Emiliano, «se il decreto non arriva subito, riconsegniamo le chiavi». Senza quel provvedimento, spiega l’ex sindaco piddino di Bari, «le regioni non possono fare l’assestamento di bilancio e andrebbero in default».
E scettico sui tavoli, invece, Luca Zaia, che comunque offre il suo sostegno ad una conferma di Chiamparino alla guida della Conferenza. «E’ una persona per bene», spiega, «ma temo che il promesso, l’ennesimo tavolo sui costi standard sia solo un escamotage per rinviare all’infinito la loro applicazione concreta. Ciò nonostante il Veneto vi porterà tutto il suo contributo perché si attacchino gli sprechi e non si tagli dove non c’è più niente da tagliare come da noi».
Insoddisfatto anche il presidente della Toscana, Enrico Rossi, che però si schiera dalla parte del governo. «Le trattative», accusa, «sono state condotte malissimo. Le regioni hanno alzato i toni e si sono prese una caterva di insulti». Per il Pd Rossi è ora di tornare a discutere seriamente. Opinione condivisa anche dalla presidente, sempre Pd, del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, secondo cui «il clima è assolutamente positivo, costruttivo e di lavoro».
Poco costruttive sembrano, però, le dichiarazioni di fuoco del premier catapultate dall’ultimo libro di Bruno Vespa. «Abbiamo aumentato i soldi per la sanità da 110 a 111 miliardi. Il punto, adesso, è costringere le Regioni a spendere meglio i soldi che hanno, anziché lamentarsi per quelli che vorrebbero», dice Matteo Renzi nel saggio Donne d’Italia. Il problema, prosegue, è che «ono tutti commissari alla spending con i soldi degli altri».
Giusti o meno, i tagli imposti dalla legge di stabiulità, scrivono i governatori, hanno un’entità tale che, nonostante venga previsto per legge l’assorbimento a carico anche della spesa sanitaria, l’impatto mette seriamente in discussione gli equilibri dei bilanci». Come avverrà il risanamento? La Serracchiani assicura che non aumenteranno né i ticket né le addizionali. Lo stesso dice Toti, aggiungendo, però che «ci saranno 2 miliardi di tagli extra sanità che incidono in comparti che sono servizi ai cittadini».
A proteggere i cittadini dovrebbe esserci lo stop alla fiscalità locale disposto dal governo. Ma, come ha spiegato il Servizio politiche territoriali della Uil, il divieto di alzare le imposte non vale né per le Regioni in deficit sulla sanità né per quelle alle prese con le anticipazioni di liquidità per il pagamento dei fornitori.
Il risultato è l’ennesima stangata dietro l’angolo. Se le 9 regioni con l’extra deficit sanitario aumentassero l’addizionale Irpef al massimo consentito ci sarebbero incrementi delle imposte del 47,4% (221 euro medi pro capite) per oltre 13 milioni di contribuenti. Se tutte le regioni dovessero sfruttare l’opportunità l’aumento sarebbe del 74,3% (289 euro in più pro capite).
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