Una bad bank di sistema garantita indirettamente dalla Cdp. È questa l’idea a cui sta lavorando il governo per aggirare il divieto di Bruxelles sugli aiuti di Stato. L’Italia è da tempo che duella con la Ue per mettere un argine alla crescita inarrestabile delle sofferenze bancarie, arrivate a quota 200 miliardi. Un duello finora senza esito, malgrado il sostegno della Bce, che anche lunedì scorso, per bocca della presidente della vigilanza, Danièle Nouy, ha auspicato che l’operazione vada in porto.
A fornire il terreno per una possibile svolta è il recente accordo sul salvataggio delle quattro banche commissariate Pop Etruria, Carichieti, Banca Marche e Carife, dove una bad bank è stata creata e dove la garanzia dello Stato, seppure in forma semiclandestina, è alla fine spuntata fuori. Sarà, infatti, la Cassa depositi e prestiti a garantire in ultima istanza il finanziamento ponte da 1,6 miliardi concesso dai grandi istituti al Fondo di risoluzione per la ricapitalizzazione delle nuove banche.
Fonti vicine al dossier hanno precisato che la garanzia è stata prestata a titolo oneroso e che l’eventualità di un intervento è legata alla possibilità assai remota che il Fondo non restituisca i soldi. Ma la sostanza non cambia molto. Cìò che cambia è l’orientamento di Bruxelles, che ha puntato i piedi sull’intervento (tutto a carico di privati) del Fondo interbancario, sostenendo che la presenza istituzionale di Bankitalia nell’organismo, configurasse l’aiuto di Stato, mentre ha dato il via libera ad una garanzia reale offerta da una società partecipata all’80% dal Tesoro che usa soldi dei risparmiatori italiani raccolti attraverso un’altra controllata pubblica come Poste.
Il tutto perché, formalmente, la Cdp è fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Ed ecco allora lo stratagemma per la bad bank di sistema: una società veicolo con un capitale privato di circa 10 miliardi che sia in grado attraverso una successiva raccolta e la leva finanziaria di acquistare crediti incagliati per oltre 100 miliardi di euro. A facilitare e garantire gli scambi ci sarebbe la Sace, società di assicurazione dell’export controllata proprio dalla Cassa depositi e prestiti.
Difficile dire se il progetto andrà in porto in questa forma. Ma sembra sicuro che la Cdp, non a caso ora guidata da due banchieri di lungo corso come Claudio Costamagna e Fabio Gallia, giocherà un ruolo centrale.
I possessori di libretti postali verranno coinvolti a loro insaputa, un po’ come è capitato ai 100mila tra soci e obbligazionisti coinvolti nel salvataggio delle quattro banche, a cui ora le associazioni di consumatori forniranno consulenza legale per le richieste di risarcimento. Tesi non peregrina, quella della frode, se si considera che la Consob ieri ha ritenuto di dover chiedere alle banche di «informare adeguatamente i loro clienti sui rischi legati al bail in». Informandoli che le loro obbligazioni portanno subire un abbattimento di valore fino al 100%.
Sul piede di guerra pure l’Acri, che ora teme riflessi sulle fondazioni azioniste di tre (Carife, Cari Chieti e Banca Marche) delle quattro banche salvate. «L’ottusità delle autorità dell’Unione europea», ha detto il presidente Giuseppe Guzzetti, «ha impedito soluzioni alternative, da mesi proposte dalle istituzioni nazionali, meno onerose e più vantaggiose per le comunità locali e per l’intera collettivita».
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