Quarantadue milioni di euro. Il che significa circa 82mila euro per ognuna delle 511 pagine di cui è composta la legge di stabilità. È questo il prezzo che hanno dovuto pagare i contribuenti per consentire al governo di far arrivare in Parlamento la manovra di bilancio. Neanche fosse il lavoro di un antico amanuense.
Per scoprire come sia potuto accadere è necessario ricostruire ciò che è successo nella settimana che va dal 17 al 24 ottobre. La vicenda si apre con la clamorosa, e assolutamente inedita, protesta dei dirigenti della Ragioneria dello Stato, che si rifiutano di fare gli straordinari nel fine settimana per tradurre in un disegno di legge le slide sulla finanza pubblica presentate da Matteo Renzi al Cdm di due giorni prima. Il tempo stringe. Il 15 ottobre, stando alle normative nazionali e comunitarie, la manovra doveva già essere sul tavolo di Bruxelles e su quello del Parlamento. A bloccare la stesura del documento c’è il contratto integrativo dei dirigenti del Mef, solitamente firmato a inizio autunno. Quest’anno, però, il governo l’ha presa un po’ alla larga, nel tentativo di razionalizzare i costi affidando la gestione dei fondi al ministero della Funzione pubblica. Una trovata piaciuta pochissimo ai dipendenti di Via XX Settembre, che hanno pensato bene di proclamare lo stato di agitazione nei giorni caldi della manovra.
I giorni passano. E nulla emerge, tranne l’imbarazzante ritardo della legge di stabilità, che arriva sul tavolo del Capo dello Stato solo il 25 ottobre. Come è finito il braccio di ferro tra sindacati e governo lo si può leggere nel verbale di accordo siglato il 22 ottobre. L’ufficio del personale e sette sigle (Assomed-Sivemp, Confsal Unsa, Unadis, Dirstat, Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa) definiscono l’ammontare delle risorse da destinare al finanziamento della contrattazione di secondo livello. Per la retribuzione di posizione fissa (uguale per tutti) e variabile (in base all’incarico) vengono stanziati 29,82 milioni. Per la retribuzione di risultato (da erogare secondo un sistema di valutazione) 12, 06 milioni. In tutto fanno 42 milioni quasi tondi (al lordo degli oneri a carico dello Stato del 38,38%). Considerato lo stanziamento in manovra di 300 milioni per il rinnovo del contratto di 3,2 milioni di statali verrebbe da pensare che al ministero dell’Economia lavori un esercito sterminato di dirigenti. In realtà, i soldi andranno nelle buste paga (che si aggirano sugli 80/90mila euro lordi annui) di 516 dirigenti di seconda fascia (quelli di prima sono meno di 30 e fanno accordi separati). L’entità del salario accessorio degli alti funzionari di Stato non è, chiaramente, una novità. La pioggia di quattrini arriva, più o meno puntuale, ogni anno. E malgrado il blocco dei contratti della Pa disposto dall’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nel 2010 il Fondo integrativo riesce anche lievitare grazie ad alcune voci di reddito variabile che non rientrano nel congelamento degli stipendi. La Fp Cgil sostiene che nell’accordo del 22 ottobre «non ci sono risorse aggiuntive».
Eppure, nella documentazione del Mef si legge che nel 2014 per la retribuzione di posizione sono destinati 29,63 milioni e per quella di risultato 10,89 milioni. A conti fatti, dunque, nel «patto della manovra» siglato col governo ci sarebbero circa 1,3 milioni in più rispetto allo scorso anno. Anche le fasce della parte variabile sembrano cresciute, passando da una forbice nel 2014 tra 11mila euro lordi l’anno e 22mila ad una tra 17mila e 29mila. Per spiegare l’esuberanza della Ragioneria dello Stato nel portare avanti la battaglia basta guardare la distribuzione delle risorse. Lo scorso anno dei 29,63 milioni erogati a tutti i dirigenti del ministero dell’Economia per la retribuzione di posizione ben 12,13 milioni (il 40,9%) sono andatti proprio a quelli della Ragioneria. Del resto, sono tanti. E scrivono la manovra.
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