Una truffa bella e buona. Controlli inesistenti, volontà dei contribuenti calpestata, soldi sottratti dalla politica e montagne di denaro consegnate alle confessioni cattoliche senza un briciolo di trasparenza. A un anno di distanza dalla relazione sulla Destinazione e gestione dell’8 per mille dell’Irpef la Corte dei Conti è tornata a battere, con una deliberazione del 26 ottobre pubblicata solo ieri, sul meccanismo che sottrae ogni anno al gettito nazionale circa 1,3 miliardi di euro.
Malgrado le dettagliate criticità rilevate dall’analisi dei magistrati contabili poco o nulla è stato fatto in questi dodici mesi, tranne vaghi impegni del governo e dell’Agenzia delle entrate ad informare con maggiore attenzione i cittadini. Resta il fatto, scrive la Corte, che «in un periodo di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura economica, le contribuzioni a favore delle confessioni continuano, in controtendenza, ad incrementarsi», rappresentando un impegno «sempre più gravoso per l’erario». Per avere un’idea le somme sono passate dai 209 milioni del 1990 agli oltre 1,1 miliardi nel 2014. Resta intatta l’assurdità di un meccanismo che «neutralizza la non scelta». L’8 per mille è infatti «obbligatorio per tutti a prescindere dall’intenzione manifestata» e alla fine gli «optanti decidono per tutti» senza alcun collegamento con la capacità contributiva di chi effettua la scelta.
Quanto alla quota statale, infine, nessun passo indietro è stato fatto rispetto alla puntuale sottrazione di fondi che i governi fanno per finanziare qualsiasi tipo di spesa, dalla cassa integrazione in deroga fino al bonus ristrutturazioni. «Per gli anni 2011 e 2012», si legge nella relazione, «la quota è stata completamente azzerata; per il 2013 si è ridotta da 170 milioni alla cifra irrisoria di 400mila euro». Anche per il 2015 risultano già impegnati 175 milioni. Dei pochi soldi che rimangono si sa poco o nulla. Perché lo Stato è l’unico soggetto destinatario dell’8 per milla «che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attivitù e non promuove i propri progetti».
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