Per far funzionare il sistema, però, serve una copertura capillare del territorio. Ed è qui che entrano in gioco i sindacati che, stando a quanto anticipato ieri da Repubblica, sarebbero i candidati ideali individuati da Palazzo Chigi per guidare le nuove agenzie per l’impiego.
L’idea a cui stanno lavorando i tecnici del governo è, per certi aspetti, diabolica: offrire alla Camusso & Co. la possibilità di guadagnare con la disoccupazione. Ma sempre di soldi si tratta. E, a ben guardare, il piano rientra in un’ottica renziana di tira e molla con le sigle, da una parte messe all’angolo sul terreno della concertazione e dell’articolo 18, dall’altra coccolate sottobanco..
Su patronati e caf, ad esempio, si era prospettata una stangata, ma alla fine gli uffici gestiti dai sindacati ne sono usciti senza troppi danni. Anzi. Il taglio dei finanziamenti ai patronati (che drenano risorse pubbliche alle sigle per circa 430 milioni l’anno) previsto nella legge di stabilità è passato da 150 milioni a 35 milioni, con una ridefinizione dei criteri di accesso ai fondi che favorisce visibilmente le organizzazioni più grandi.
Dalla rappresentanza in un terzo delle regioni e un terzo delle province si passa infatti al 60% della popolazione italiana e sedi in almeno 8 paesi stranieri.
Quanto ai caf (che fanno incassare ai sindacati circa 350 milioni l’anno, di cui 170 dei contribuenti), l’Inps ha congelato per sei mesi le tariffe del nuovo Isee, ma per la dichiarazione dei redditi precompilata (con modifiche) il compenso riconosciuto ai professionisti passa dagli attuali 14 euro a 14,30 per il 2015, 16,60 per il 2016 e 17,70 euro per il 2017.
Altro capitolo assai rilevante è quello che riguarda il nodo della rappresentanza, che da anni aspetta una legge complessiva di riordino che metta fine alle incertezze legate agli accordi tra le parti.
Su questo terreno il governo si sta muovendo in sordina con un gruppo di lavoro formato da esperti delle categorie che, secondo alcuni, sarebbe orientato a fare piazza pulita delle sigle minori e autonome, più deboli della triplice ma meno gestibili nelle trattative, attraverso la concessioni del monopolio delle relazioni industriali ai sindacati maggiormente rappresentativi che superano il 50% nell’ambito dello stesso contratto e abbiano almeno il 33% di rappresentanza a livello nazionale.