sabato 28 marzo 2015

I nuovi posti di lavoro sono i vecchi

Sui festeggiamenti in corso per la ripresa e per il jobs act, con la sortita del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sui presunti effetti miracolosi della riforma, è piovuto ieri il macigno dell’Istat, che ha certificato l’ennesima battuta d’arresto dell’economia italiana. A gennaio, dopo il risultato abbastanza positivo di fine 2014 (+1,4 su novembre e +0,9% sul 2013) il fatturato dell’industria è di nuovo diminuito dell’1,6% rispetto a dicembre e del 5,6% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Ancora peggio sono andati gli ordini che hanno accusato un calo del 3,6% congiunturale e del 5,5% sul 2015.

L’unico dato positivo è quello che riguarda il settore dell’auto, balzato del 18,9% in termini tendenziali, con gli ordinativi saliti del 14,2%. Un po’ poco per lasciare intravedere quella ripresa su cui anche le associazioni sembrano pronte a scommettere. Per Confcommercio il pil quest’anno arriverà addirittura all’1,1%. «Finalmente registriamo segnali di risveglio», ha detto il presidente Carlo Sangalli, avvertendo però che sarà necessario tagliare le tasse per agganciare la ripresa. Secondo il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi l’Italia sarebbe «a un punto di svolta» e «quello che incoraggia di più è la ripresa dell’occupazione».
Già, l’occupazione. Stando ai dati forniti da Poletti nei primi due mesi del 2015 le riforme del governo avrebbero prodotto una vera e propria esplosione di contratti: 1,3 milioni complessivi, con un aumento di 154mila unità sul 2014 (+12,6%). A fare da traino sarebbero stati proprio i contratti a tempo indeterminato, aumentati rispetto allo scorso anno di 79mila unità (+35%). Premesso che in ogni caso il jobs act, entrato in vigore a marzo, non c’entra e che le assunzioni sono eventualmente il frutto della decontribuzione per tre anni scattata il primo gennaio, resta da capire quanti di quei posti di lavoro siano realmente nuovi e aggiuntivi.

Da una parte, infatti, ci sono le stabilizzazioni, ovvero la trasformazione di rapporti precari in contratti a tempo determinato, ora più convenienti per le aziende, dall’altra bisogna tener conto delle cessazioni nello stesso periodo.
Su entrambi i punti il governo si è ben guardato dal fare chiarezza. Il dato di Poletti va confrontato anche con quello, fornito qualche giorno prima, da Tito Boeri. Secondo il neo presidente dell’Inps nei primi 20 giorni di febbraio sarebbero arrivate all’istituto richieste per accedere alla decontribuzione da parte di 76mila imprese. Queste richieste, secondo uno studio effettuato dalla Fondazione Consulenti del Lavoro, sono relative a circa «275mila assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel primo bimestre del 2014» di cui, si badi bene, «l’80% è costituito da stabilizzazioni di collaborazioni a progetto, contratti a termine e partite Iva». Applicando la stessa percentuale alle cifre di Poletti (che parla di 303mila assunzioni nel bimestre) si avrebbero 60mila nuovi posti fissi. Che andrebbero però confrontati con lo stesso periodo del 2014 quando i contratti a tempo determinato derivavano solo in minima parte dalle stabilizzazioni. Il risultato finale, al netto delle trasformazioni, potrebbe dunque anche essere negativo.

Quanto ai posti di lavoro persi, che potrebbero fornire un’indicazione sull’entità delle stabilizzazioni, Poletti non ne parla. Per avere un’idea dell’impatto delle cessazioni sul saldo complessivo basta vedere i dati aggregati del 2014 dove a fronte di 9.957.635 nuovi contratti ci sono state 9.973.460 cessazioni. Una certezza c’è su gennaio. Per il ministro sono stati attivati 824mila contratti complessivi (+18,1%), ma il dato Istat ci parla solo di 131mila nuovi occupati (+0,6%). Considerato che i dati di Poletti per febbraio scendono a 558mila, un saldo col segno meno non è da escludere. Anche le rilevazioni effettuate da Unioncamere e ministero del Lavoro per il sistema Excelsior ridimensionano molto lo scenario. Il monitoraggio relativo al primo trimestre 2015 parla di 45.600 assunzioni previste a tempo indeterminato. Ma il quadro complessivo è ben diverso. A fronte di 209.680 entrate ci sono 201.300 uscite. Il saldo reale  ammonta dunque a 8.390 unità. Un numero che Unioncamere definisce positivo e incoraggiante, ma che poco si concilia con le cifre sparate  dal governo. «Speriamo che queste nuove assunzioni non siano le prime vitttime dei licenziamenti facili», ha comunque ironizzato la leader della Cgil, Susanna Camusso.

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