sabato 7 marzo 2015

Giudici contro Mediaset. Inchiesta sull'Opa RaiWay

Ci voleva un’altra bella inchiesta giudiziaria a poche ore dalla decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano sul ravvedimento di Silvio Berlusconi. Il tassello che mancava era quello dell’Opas Mediaset su Rai Way e a colmare il vuoto ci ha pensato un provvidenziale esposto dell’ex senatore dell’Italia dei Valori, nonché presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti.

L’iniziativa dell’associazione dei consumatori era stata annunciata giovedì sera da Michele Anzaldi, deputato del Pd di stretta osservanza renziana e segretario della commissione di Vigilanza Rai. Una notizia diffusa con plateale soddisfazione: «Ho appreso che l’Adusbef ha presentato un esposto alla Procura di Roma affinché verifichi l’eventuale reato di insider trading sulla vicenda. Il fatto che una importante associazione dei consumatori, da sempre attiva sulle questioni finanziarie, abbia deciso di richiedere l’intervento della magistratura conforta sui dubbi che erano sorti fin dall’inizio sull’operazione».
Il seguito è scontato. Piazzale Clodio ha subito aperto un fascicolo, senza ipotesi di reato e contro ignoti, per verificare l’eventualità di «manipolazione dei mercati e insider trading sui titoli Rai Way e della galassia Mediaset» legati all’annuncio dell’Opas della controllata Ei Towers. Movimenti di Borsa su cui ha acceso un faro anche la Consob. Il caso è al vaglio del procuratore aggiunto Nello Rossi. Nell’esposto Lannutti sottolinea, tra l’altro, il «rastrellamento di azioni che si è verificato dal 14 gennaio, a seguito di un periodo in cui il titolo Rai Way non era oggetto di particolari attenzioni e faceva registrare un modesto numero di scambi». Ciò, si legge nella denuncia, ha «portato, nel giro di poco più di un mese, ad un incremento del prezzo di circa il 30%, dai 3,18 del 14 gennaio ai 4,05 del 25 febbraio. Per di più tale valore di 4,05 euro si avvicina notevolmente al prezzo fissato dall’Opa per ciascuna azione (4,5 euro)». Secondo l’ex parlamentare basterebbe questo a suscitare «il sospetto che qualcuno che ha lavorato all’operazione, resa nota il 25 febbraio, abbia fornito informazioni riservate riguardanti i mercati finanziari già dal 14 gennaio, più di un mese prima».

L’apertura formale dell’inchiesta, malgrado la scomoda analogia con quella, sempre condotta dal pm Rossi, sull’assalto ai titoli delle Popolari, tra cui l’Etruria del papà del ministro Boschi (con le azioni balzate del 57%), prima dell’annuncio della riforma governativa, è stata accolta con entusiasmo dal Pd. È sempre Anzaldi a commentare. «Ora sarà possibile fare chiarezza definitiva sul pasticcio Opas», ha twittato l’esponente della Vigilanza Rai.
Parole che sembrano troncare sul nascere l’ipotesi, ventilata nei giorni scorsi, di una possibile convergenza economico-politica sulla soluzione di un polo delle torri pubblico-privato. L’ad di Ei Tower, Guido Barbieri, giovedì ha spiegato alla Consob che il prospetto informativo dell’offerta da 1,2 miliardi che sarà trasmesso il 16 marzo non conterrà alcun cambiamento delle condizioni. Malgrado il governo, per bocca sia del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sia del premier Matteo Renzi, si sia mostrato irremovibile sul mantenimento del 51% del capitale in mano pubblica, la controllata di Mediaset vincolerà dunque il successo dell’operazione all’ottenimento del 66,67% delle azioni.

Questo non significa, però, che dietro la rigidità formale degli impegni e dei vincoli i tecnici di entrambe le parti non stiano lavorando anche ad una serie di piani B. Tra questi, quello che vedrebbe Mediaset accontentarsi di una quota minore, a partire dal 14% che la Rai avrebbe margini per cedere rispetto all’attuale 65% detenuto, e Viale Mazzini muoversi invece verso una contro Opa per entrare nel capitale di Ei Tower. Suggestioni, finora, che però circolano con insistenza tra gli esperti che stanno lavorando al dossier.
Lo stesso ad di Rai Way, Camillo Rossotto, del resto, ha ammesso che «avere un operatore unico per gli impianti è razionale perché evita la duplicazione degli investimenti». Non a caso, ha aggiunto, «è questo il modello seguito nel Regno Unito, in Francia, Spagna e Norvegia» per la trasmissione dei segnali televisivi. Chi è andato oltre nel ragionamento ha anche fatto notare che l’anomalia del controllo, da parte di uno stesso soggetto, dell’infrastruttura e della produzione di contenuti, potrebbe essere superata dall’ingresso nel capitale della società delle torri di un soggetto a vocazione pubblica (la Cdp o un fondo infrastrutturale partecipato dalla cassa) che permetta a Rai e Mediaset di scendere sotto una soglia di controllo del 20%.
Fantafinanza? Forse no, se non fosse che ad indirizzare le posizioni della politica, e della sua controllata a Viale Mazzini, c’è ancora, a quanto pare, lo spettro dell’antiberlusconismo che impone di scorgere lo zampino del diavolo di Arcore dietro ogni angolo. Riflesso condizionato di cui è prigioniero da decenni il Pd e a cui non riesce a sottrarsi neppure l’opposizione pentastellata. «Berlusconi», ha teorizzato ieri il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, «non solo governerà le antenne tv, ma anche quelle antenne dove stanno passando e sono passate le intercettazioni telefoniche che in questi giorni stiamo leggendo su tutti i giornali». E il cerchio, finalmente, si chiude.

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