Il dossier europeo su «split payment» e «reverse charge» è tutt’altro che archiviato. E i primi segnali che arrivano da Bruxelles non lasciano presagire nulla di buono per Palazzo Chigi, che nel nome della lotta all’evasione sta cercando di fare cassa rastrellando in anticipo l’Iva delle imprese. Il governo, per bocca del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, continua a sostenere che le novità fiscali sono già state promosse in blocco insieme al semaforo verde concesso dalla Ue sulla legge di Stabilità.
La posizione ufficiale della Commissione sembra, però, di tenore diverso. In attesa di ulteriori approfondimenti, Pierre Moscovici si è già espresso sulla questione. Risponendo ad una precisa interrogazione dell’europarlamentare di Forza Italia, Alberto Cirio, il commissario Ue agli Affari economici lo scorso 13 marzo ha spiegato che «qualsiasi misura di deroga in materia di Iva può essere legittimamente applicata in uno Stato membro solo previa adozione all’unanimità della proposta della Commissione da parte del Consiglio».
Se questo è il quadro, è chiaro che la mossa di Matteo Renzi è destinata alla bocciatura. A differenza dell’estensione del reverse charge (l’Iva è versata direttamente dall’acquirente, lasciando il fornitore, che dovrà invece pagarla ai suoi subfornitori, a bocca asciutta) anche alla grande distribuzione, su cui il governo sta aspettando il verdetto di Bruxelles, lo split payement (stesso meccanismo applicato egli enti pubblici) per i fornitori della Pa è invece già in vigore dal primo gennaio. In barba all’autorizzazione preventiva prevista dalle direttive europee. Come si legge nella risposta di Moscovici, la Commissione ha ricevuto «il 24 novembre 2014 una domanda di deroga relativa all’eventuale applicazione di un sistema che consenta alle autorità pubbliche di versare l’Iva su un conto speciale per beni e servizi loro forniti».
Secondo Confindustria Cuneo, che fin dall’inizio si è scagliata contro la norma, «la violazione italiana è palese». Un giudizio, ha spiegato Cirio, condiviso anche da Patrice Pillet, capo settore dell’unità Iva della direzione generale Fiscalità e Unione Doganale della Commissione Ue.
La strada del provvedimento, su cui si è mossa anche la Confindustria nazionale con una denuncia formale a Bruxelles, è dunque tutta in salita. Di sicuro non arriverà una decisione in tempi rapidi. Entro otto mesi la Commissione dovrà presentare al Consiglio Ue una proposta di deroga o invierà una comunicazione all’Italia esponendo le sue obiezioni.
Il risultato è che il tentativo del governo di utilizzare le imprese come bancomat rischia di trasformarsi nell’ennesimo pasticcio da cui tutti usciranno con le ossa rotte. Lo Stato potrebbe veder sfumare quasi due miliardi di incassi (1 miliardo dallo split payment e 728 milioni dal reverse charge per la Gdo). Le imprese perderanno comunque, anche in caso di vittoria. Gli effetti della riforma, la Cna parla di ammanchi mensili complessivi per le aziende di circa 2 miliardi al mese, si sono già iniziati a far sentire. Se la norma salta, chi restituirà il maltolto?
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