Novecentomila euro in cassaforte. È questo, finora, l’incasso ottenuto dal governo dopo l’ultima tranche di auto blu vendute su eBay: 25 vetture, delle 33 messe all’asta, e tutte dal ministero della Difesa. Il percorso di razionamento delle auto blu da parte dell’esecutivo era iniziato con quel «venghino, signori, venghino» lanciato nel marzo 2014 dal premier Matteo Renzi. Ad un anno di distanza, si è conclusa la vendita di un’altra batteria di vetture, tutte provenienti dai parcheggi del ministero della Difesa.
Le 33 auto sono state messe su eBay il 26 febbraio scorso e, il 19 marzo, al termine delle tre settimane dedicate all’asta via web, ne sono state vendute 25. Di queste, sette sono state vendute al Sud, sei al Centro, quattro al Nord e sei nelle isole. Due, infine, le vetture vendute all’estero (Germania e Australia) per un parco macchine che, oltre a diversi modelli di Fiat, Alfa e Lancia, contava anche qualche auto della Bmw e della Volkswagen. Le auto poi vendute hanno ricevuto complessivamente 1.270 offerte. Come base d’asta si partiva da 97.500 euro, per arrivare all’incasso finale di 155.521 euro (con una plusvalenza pari a 58.021 euro) che sommati ai 701.987 euro della precedente asta portano la cifra complessiva a 857.508 euro. Le auto blu messe all’asta in totale, dall’apertura del negozio eBay del governo, sono 151 mentre 107 sono quelle finora vendute.
Tutti i proventi andranno destinati ad un fondo finalizzato alla riduzione del deficit, in linea con la spending review. E l’entità della cifra, al di là del valore simbolico della rottamazione delle auto della casta, rende abbastanza bene l’idea di come stia procedendo il taglio della spesa. I 900mila euro andranno infatti ad abbattere un deficit che si aggira sui 48 miliardi e un debito che a gennaio ha raggiunto quota 2.165,9 miliardi di euro. Un moscerino che tenta di infastidire un elefante avrebbe forse più probabilità di successo.
Ma i tagli, quelli veri, a Matteo Renzi non piacciono molto. Basta leggere il Def èper avere un’idea di quanto il governo punti sulla spending review. Si era partiti, per il 2015, da un obiettivo di 15-16 miliardi, si è arrivati a 5. Per il 2016 addirittura la spesa tendenziale e quella programmatica coincidono. In altre parole non è previsto nessun taglio. In compenso, però, per il 2016, c’è la clausola di salvaguardia che prevede un aumento dell’Iva e delle imposte indirette per 12,4 miliardi destinata a garantire il raggiungimento del pareggio, che nel 2017 sale a 17,8 e nel 2018 a 21,4 miliardi di euro.
Ma niente paura, perché il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha detto qualche giorno fa che la spending review «è viva e vegeta». E ci «sarà una implementazione ulteriore nella prossima legge di stabilità».
Nell’attesa, Carlo Cottarelli è stato defenestrato e nessuno lo ha sostituito. I suoi dossier saranno utilizzati, ha assicurato Padoan.
Per adesso restano ancora nel cassetto di Palazzo Chigi, nascosti persino all’opinione pubblica, malgrado tutte le operazioni trasparenza sbadnierate dal governo.
E poco trasparente è anche la successione a Cottarelli. Da settimane si parla di uno/due nuovi commissari che risponderebbero al nome di Yoram Gutgeld e Roberto Perotti. La nomina, però, continua a slittare di Consiglio dei ministri in Consiglio dei ministri senza che nessuno si preoccupi più di tanto.
Visto l’andazzo, forse, pure quei 900mila euro non sono poi da buttare.
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