L’idillio tra i due è ormai profondo. «Sono gasatissimo dai progetti di Marchionne», ha esordito Matteo Renzi al principio di una giornata che lo ha portato dalla fabbrica di Mirafiori, al centro ricerche di General Motors fino al Politecnico di Torino. Qui, il premier ha rincarato la dose, spiegando che «questo è il Paese in cui un’azienda considerata cotta e decotta fino a dieci anni fa, si va a comprare una delle più grandi realtà automobilistiche americane. È impressionante come sono cambiati i rapporti. E il meglio deve ancora venire».
Ad entusiasmare il premier sarebbero stati i nuovi modelli di Fca, come il Suv Levante della Maserati, che l’ad e il presidente John Elkann gli hanno presentato durante la visita agli stabilimenti simbolo del gruppo. Ma l’euforia di Renzi è principalmente dovuta ad un rapporto che negli ultimi mesi è diventato sempre più stretto. Poco più di una settimana fa, del resto, Sergio Marchionne aveva scelto lo scenario internazionale del summit «Italy meets the United States of America» a New York per spiegare che il premier «ha fatto in 11 mesi quello che non è stato fatto in anni interi». Senza dimenticare, poi, l’annuncio delle mille assunzioni a Melfi, spottone clamoroso al nuovo contratto del jobs act.
Eppure, c’era un tempo in cui tra i due volavano gli stracci. E non è preistoria, ma l’ottobre del 2012, in piena campagna elettorale per le primarie del Pd. «Marchionne ha solo preso in giro lavoratori e politici», ebbe a dire il futuro premier. «Renzi? È il sindaco di una piccola, povera città», fu la risposta di Marchionne, che fece infuriare anche tutto il capoluogo toscano.
Archiviati gli attriti ora il manager è l’emblema dell’Italia che riparte e dell’impresa che vince. Quella, ha spiegato nel corso della visita alla GM Powertrain contestando la rassegnazione, che non si «lagna, quella «dell’innovazione e della curiosità». Siamo, ha poi proseguito, «un Paese manifatturiero, secondo alla Germania, ma li riprenderemo». Anche perché «la storia del nostro Paese è sempre stata la storia di persone che hanno immaginato il futuro. In Italia il domani è sempre arrivato un po’ prima».
Altri i temi toccati al Politecnico, dove Renzi è stato pure contestato. Prima all’esterno, da un corteo di manifestanti con fumogeni e lanci di uova, poi all’interno, da uno studente, subito allontanato, che voleva donargli un cappello da giullare. Inaugurando l’anno accademico il presidente del Consiglio ha spiegato che «siamo una realtà che continua ad avere molti limiti», ma che «fare le riforme vuol dire superarli». E il «rilancio in corso sarà sorprendente non solo per i critici, ma anche per chi ha sempre sostenuto quel cambiamento».
Tra le carte vincenti c’è, ovviamente, la scuola e la ricerca. E qui il premier ha affondato il colpo sugli atenei italiani. «Ci sono», ha detto, «università di serie A e B nei fatti e rifiutare la logica del merito e pensare che tutte possano essere uguali è antidemocratico. Non possiamo pensare di portare tutte le 90 università nella competizione globale, allora ci spazzeranno via tutti quanti».
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