sabato 7 febbraio 2015

Unicredit pronta a lasciare l'Abi. Inizia l'era delle lobby fai-da-te

Anche l’ultima roccaforte delle associazioni datoriali si prepara a capitolare. Dopo Confindustria, Ance e Ania, pure l’Abi, storica associazione di rappresentanza dei banchieri, potrebbe subire il primo clamoroso esodo. A sferrare il colpo, secondo quanto circola con insistenza da diverse settimane, sarebbe Unicredit, stufa di duellare con i sindacati su un contratto (disdettato dallo scorso 31 dicembre) diventato troppo stretto per le esigenze della seconda banca italiana.

A parlare apertamente di una possibile uscita è stato la scorsa settimana Lando Sileoni, il capo del Fabi, il principale sindacato dei bancari. «Unicredit», ha rivelato, «spinge per avere il proprio contratto aziendale. Questo non comporta che necessariamente che lascerà l’Abi, ma sappiamo con certezza che ci stanno provando». La notizia è rimbalzata ieri nelle sale del Forex Assiom, provocando un po’ di nervosismo nell’associazione bancaria. «Dovete chiederlo a Unicredit», ha risposto in prima battuta il dg dell’Abi, Giovanni Sabatini. Che poi, però, ci ha ripensato e ha deciso di assumere una posizione più netta con un comunicato ufficiale. « In relazione a illazioni circa una ipotetica uscita di chicchessia dall’Associazione», si legge in una nota, «il Direttore Generale smentisce categoricamente che si sia nemmeno mai posto il tema». Oltretutto, prosegue il comunicato, «Unicredit esprime oggi anche il vicepresidente vicario dell’Associazione, fornendo dunque un contributo rilevante alle attività associative».

Una fermezza che lascia intravedere qualche margine di dubbio sulle reali manovre in atto nei corridoi dell’Abi. Del resto, non è la prima volta che accade. A dare il primo scossone, com’è noto, fu la Fiat di Sergio Marchionne, con una dirompente uscita da Confindustria e dal contratto nazionale che non ha ancora smesso di far discutere sia i sindacati sia Viale dell’Astronomia. Poi è stato il turno di Salini Impregilo, colosso delle costruzioni. «Siamo troppo grandi», ha detto l’ad Pietro Salini, «per un’associazione come l’Ance, che tiene assieme imprese con interessi ed esigenze diverse». Una motivazione più o meno simile a quella che ha spinto la grande distribuzione ad uscire da Confcommercio.
L’insofferenza dei grandi per la vita associativa è sbarcata, però, solo di recente nel mondo della finanza. È di qualche mese fa l’inaspettato addio di Unipol Fonsai all’Ania, operativo dal primo gennaio del 2016. Un mossa che alcuni hanno attribuito anche alla voglia del gruppo bolognese post fusione di ridisegnare gli equilibri di potere nel mondo delle polizze. Dopo le assicurazioni, il contagio è ora arrivato alle banche, alle prese con massicci processi di ristrutturazione che le vecchie regole, evidentemente, non riescono più a gestire.

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