giovedì 12 febbraio 2015

La Robin Tax è incostituzionale. Renzi perde 1 miliardo all'anno

Un miliardo secco in meno con cui presentarsi agli esami di riparazione della Commissione europea del prossimo 27 febbraio. A pochi giorni dall’appuntamento con gli sceriffi di Bruxelles per l’approvazione della legge di stabilità sulla testa di Matteo Renzi è arrivata la tegola della Robin Tax, giudicata clamorosamente incostituzionale dopo 7 anni di applicazione. Uno scherzetto che potrebbe costare caro, considerata la perdita di gettito e gli zero virgola su cui si gioca il duello con la Ue.
D’altra parte, la Consulta ha fatto il possibile per limitare i danni.



Il colpo sui conti dello Stato poteva essere ben più pesante. La norma, ideata dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è stata introdotta nel 2008 e nel 2009 ha prodotto un gettito di 500 milioni. Inizialmente pensata per drenare gli extraprofitti delle imprese energetiche garantiti dal forte incremento del prezzo del petrolio, l’addizionale Ires si è progressivamente irrobustita sia con innalzamenti dell’aliquota sia con l’estensione della sua applicazione a tutto il settore, compresi i produttori di rinnovabili e le società di trasmissione dell’energia. Gli introiti per lo Stato sono così progressivamente aumentati a circa 700 milioni nel 2010, a 1,5 miliardi nel 2011 e a 1,4 miliardi nel 2012 e 900 nel 2013. Una cancellazione retroattiva della tassa avrebbe dunque impattato per almeno 6-7 miliardi di pregresso sui conti pubblici. Un colpo mortale, che la Corte costituzionale non ha voluto (né potuto, sulla base del vincolo di bilancio inserito nella Carta) infliggere al governo Renzi. «L’applicazione retroattiva», hanno spiegato i giudici, «determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 della Costituzione».

L’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari «determinerebbe, infatti, uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede internazionale».
Che l’eventualità sia del tutto scongiurata è tutto da vedere. Ma i problemi, come ha ammesso il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, riguardano il futuro e non il passato. L’illegittimità, con buona pace delle imprese che per 7 anni hanno dovuto pagare un balzello incostituzionale, scatterà  solo a partire dalla pubblicazione della sentenza in Gazzetta ufficiale. Il che, significa, sostanzialmente, che gli effetti si dovrebbero sviluppare sulle entrate fiscali del prossimo anno relative all’esercizio 2015. Anche se il meccanismo dei superacconti a cui si sono aggrappati gli ultimi governi potrebbe complicare le cose anche sull’anno in corso.

Per l’ex ministro Tremonti una bocciatura a metà. Secondo il giudice Marta Cartabia lo scopo del legislatore «appare senz’altro legittimo», ma la tassa è stata configurata male e, soprattutto, è diventata «strutturale» malgrado fosse nata per fronteggiare una «congiuntura economica eccezionale».
Ora Renzi dovrà correre ai ripari in fretta. La notizia del miliardo di buco, fra l’altro, arriva all’indomani delle comunicazioni ufficiali della responsabile del debito dell’Economia, Maria Cannata, sull’esposizione del governo sui derivati. A settembre 2014 il Tesoro aveva contratti aperti per 163 miliardi di euro con un conto negativo potenziale di 36,78 miliardi. Perdite virtuali, che le tensioni con la Grecia e le clausole di risoluzione anticipata (presenti in 13 contratti) fanno comunque tremare le vene ai polsi.

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