Mentre le procure e la Vigilanza continuano ad indagare sugli effetti collaterali della riforma, il dl inizia un iter parlamentare che si preannuncia tortuoso. In attesa delle prevedibili schermaglie politiche (quasi tutta l’opposizione è critica e anche molte componenti della maggioranza hanno storto il naso) ieri è stata la volta delle associazioni di categoria, che sono sfilate nelle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera per il primo giro di audizioni.
L’entusiasmo nei confronti della riforma sembra finora assai scarso. Persino Confindustria, complessivamente non ostile, ha messo in guardia il governo dai possibili effetti negativi sulle imprese. «La riforma», ha detto il dg Marcella Panucci, «persegue l’obiettivo di una maggiore capitalizzazione delle popolari e favorisce processi di concentrazione. Non vorremmo che questi processi provocassero un allontanamento dei criteri decisionali delle banche dai territori che potrebbe portare ad una contrazione del credito». Diplomatica l’Abi, che ha sottolineato più che altro i problemi legati all’eccessiva eterogeneità delle norme. «Per consentire alle banche di svolgere il loro ruolo a supporto dell’economia», ha spiegato il dg dell’associazione, Gianfranco Torriero, «occorre una certezza e stabilità delle regole ed è indispensabile avere normative bancarie identiche in tutti i Paesi soggetti alla vigilanza unica».
Nettamente contrarie, invece, le banche di credito cooperativo, per ora non coinvolte dalla riforma, ma su cui è già partito il pressing di Bankitalia. Secondo l’associazione di categoria Federcasse «l’efficientamento del sistema bancario» non passa «necessariamente per l’omologazione di tutto il sistema creditizio al modello profit». Anche per questo motivo un decreto «non appare lo strumento ideoneo». Una legge ordinaria «avrebbe consentito una migliore analisi e valutazione dei complessi aspetti del mercato». Critiche al dl anche da Unioncamere. Non sulla riforma delle popolari, ma sulle agevolazioni alle Pmi innovative, che sarebbero senza copertura. Le aziende coinvolte sarebbero 11mila e non 7mila, come dice il governo. Il che comporterebbe una perdita di diritti annuali per le Camere di Commercio di circa 11 milioni di euro. Chi pagherà?
A rassicurare le banche in serata è arrivata S&P, secondo cui la riforma è «un beneficio per il settore» e non avrà «impatti significativi sul rating».
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