venerdì 14 marzo 2014

La Bce ci striglia. Renzi: cambiamo la Ue

«Non teniamo in ordine i conti per fare un favore ai capi di Stato e di governo, ma perché chi non lo ha fatto in passato ha sbagliato. Lo dobbiamo ai nostri figli. È come se la nonna portasse i nipoti al ristorante e dicesse “ora lascio loro un bel conticino da pagare”». Matteo Renzi non rinuncia alla battuta. Neanche dopo le sberle arrivate ieri dall’Europa. Intervenendo a  Porta a Porta il premier ha cercato di confondere un po’ le acque replicando che l’Italia non è lì a farsi «dare i compiti», che «l’Europa non può essere un insieme di tecnici senz’anima», che lui cambierà «le regole del gioco» e che «la Ue ha bisogno dell’Italia almeno quanto l’Italia ha bisogno dell’Europa».

Arrivando al dunque, però, Renzi ha ribadito che il nostro Paese «rispetterà tutti gli impegni, compreso il 3%» e terrà «i conti in ordine», seppure non «per fare un piacere alla Merkel».
L’uno-due arrivato ieri dall’Europa, del resto, non lasciava molte alternative. Chiarissimo il messaggio recapitato da Mario Draghi attraverso il bollettino mensile della Bce. Ribadendo quanto detto dalla Commissione Ue a novembre, i tecnici di Francoforte hanno spiegato che finora l’Italia «non ha fatto tangibili progressi rispetto alla raccomandazione di ridurre il deficit, rimasto al 3% nel 2013 contro il 2,6% raccomandato dall’Europa». In prospettiva, si legge ancora nel bollettino, «è importante effettuare i necessari interventi affinché siano soddisfatti i requisiti previsti dal meccanismo preventivo del Patto di stabilità e crescita, soprattutto per quanto riguarda la riconduzione del rapporto debito/Pil su un percorso discendente».

Sostanza più o meno identica, seppure in una forma più discorsiva e garbata, quella emersa dalla conferenza stampa dell’esecutivo Ue, dove il portavoce del commissario Olli Rehn ha espresso parole di apprezzamento per «il ventaglio di annunci» di Renzi, sottolineando positivamente, tra le altre cose, «l’intenzione di ridurre l’esposizione fiscale, di semplificare e di pagare i debiti della Pa». Anche le misure sul lavoro sono piaciute. Ma ciò non toglie che l’Italia debba «concentrarsi sul raggiungimento dell’obiettivo di medio termine, il pareggio di bilancio in termini strutturali». Non solo, a quest’obbligo di ulteriore riduzione del deficit pubblico è legato anche l’altro obiettivo, quello del «rispetto della regola del debito». Ovvero la sua riduzione a tappe forzate, pari a 1/20 all’anno della differenza fra il suo valore corrente (oggi oltre il 130%) e la soglia del 60% del Pil, verso cui bisogna tendere.

Gli avvertimenti di Bce e Commissione europea, al di là delle chiacchiere, vanno dritti sul bersaglio. E, piaccia o non piaccia, rappresentano una camicia di forza con cui Renzi dovrà fare i conti. Anche perché dopo l’inserimento dell’Italia nei Paesi con «squilibri economici eccessivi» Bruxelles ci aspetta al varco. Per evitare l’avvio di una procedura dagli esiti incerti a giugno, il governo dovrà dimostrare di aver fatto i compiti già nel Piano nazionale di riforme da consegnare ad aprile assieme al programma di stabilità. E gli esami riguardano due punti centrali della scossa di Renzi. Il primo, la necessità di un aggiustamento strutturale dello 0,6% del deficit/pil brucia di fatto quel tesoretto da 6,4 miliardi che il premier ha indicato tra le coperture del cuneo. Il secondo, la riduzione del debito, mette a rischio il programma di pagamento dei crediti della Pa che proprio lì va ad impattare.

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